Ogni giorno un piccolo 11 settembre?

Ogni giorno un piccolo 11 settembre?

 

di Raffaella Milandri

 

 

Sono sicura che molti di noi, quel lontano 11 settembre 2001, hanno versato qualche lacrima. E credo che in parecchi abbiano memorizzato il momento esatto in cui hanno appreso della notizia, dove erano, con chi si trovavano. Io ero in ufficio, al lavoro, e dopo la mia prima reazione di incredulità, presto sul web, e sui telegiornali, iniziarono ad apparire le prime catastrofiche immagini. La fine del mondo. Ero rientrata dagli Stati Uniti appena una settimana prima. Pian piano i dettagli e le notizie fluirono ovunque, raccapriccianti. E ognuno di noi, per un solo attimo, si è immaginato di essere lì, su uno di quegli aeroplani diretti verso la morte. Quel giorno un unanime atto di condanna sorse dal mondo, chiaro e limpido.

Oggi, le lacrime non bastano più. Questi ultimi due anni ci hanno martoriato con notizie e immagini di attacchi terroristici da alcuni dei posti più noti d’Europa: Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino, Londra, San Pietroburgo, e tanti altri. Centri commerciali, teatri, ristoranti, luoghi turistici e di divertimento. Posti dove potevamo facilmente trovarci anche noi in vacanza, o dove magari siamo già stati, o dove desideriamo andare. E a fianco a queste notizie, quelle di attentati in Iraq, in Siria, in Afghanistan, Yemen, Bangladesh e la vicina Turchia. Oggi di nuovo l’Egitto. Più lontani dal nostro Occidente, ma altrettanto tragici. Non ho mai passato tanto tempo a guardare le news come da un paio di anni a questa parte, cercando buone notizie, ma trovandone sempre di peggiori, a sorpresa, talvolta diluite nel tempo e talvolta a grappoli, come in questi ultimi giorni. Un bombardamento di brutte notizie. Ormai ogni giorno riviviamo, in piccolo, l’’11 settembre. E chiunque di noi, confessiamolo, comincia in un angolo della mente a provare timore, quando si reca in luoghi affollati: ognuno di noi si guarda intorno, osserva con sospetto, pronto a captare un segnale di pericolo, pronto a scappare a gambe levate come i tanti che abbiamo visto in tutti i filmati di attentati terroristici recenti. Ci auguriamo che tutto finisca: preghiamo, chiudiamo gli occhi e rivediamo le immagini più atroci che i media ci hanno dispensato senza limiti. In realtà, purtroppo, non finirà. Prima un attentato terroristico aveva alle spalle una organizzazione, con “cervelli”, soldi, armi, mezzi. Le varie “intelligence” mondiali potevano avere buone chance di “intercettare” un piano terroristico. Ora, basta rubare un camion, come a Stoccolma, per poter iniziare a falciare la folla con ferocia e determinazione. E odio. Cosa possiamo fare noi? Ben poco. Ma prima di tutto, non dobbiamo spingere l’interruttore della indifferenza. Non dobbiamo smettere di stupirci e di provare dei sentimenti di cordoglio, di orrore. Non dobbiamo valutare gli attentati solo sulla base del numero di vittime e della spietatezza delle armi usate. L’unica cosa che possiamo fare, è non diventare “contabili” del terrore. Bensì coscienti del fatto che ogni vita umana, di qualunque nazionalità, età, religione, è preziosa e irripetibile. E merita di essere commemorata. Quale bandiera mettere oggi sul nostro profilo facebook, in segno di solidarietà? Nessuna, o tutte, in maniera equa. Pensiamoci.

 

 

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