Bedouine “Bedouine”

Bedouine “Bedouine”

Etichetta: Spacebomb

Brani: Nice and Quiet / One of These Days / Back to You / Dusty Eyes / Solitary Daughter / Summer Cold / Mind’s Eye / You Kill Me / Heart Take Flight / Skyline
Produttore: Guy Seyffert

 

Una nuova cantautrice di cui si sentirà molto parlare in questa stagione e anche, siamo pronti a scommetterci, negli anni a venire risponde al nome di Azniv Korkejian, in arte Bedouine, nata ad Aleppo, in Siria, da genitori armeni, cresciuta in Arabia, ma ormai da tempo trasferitasi negli Stati Uniti, dove ha fatto innamorare di sé chiunque l’abbia ascoltata cantare. Tra questi, si devono citare almeno Guy Seyffert (già collaboratore di Beck, Norah Jones, Black Keys), che ha deciso di produrre artisticamente il suo disco d’esordio, e Matthew E. White, che non ci ha pensato due volte e l’ha pubblicato con la griffe della sua etichetta Spacebomb.
La musica di Bedouine è fatta di elementi semplici: una chitarra, una melodia delicata e una voce malinconica. Tutto richiama gli anni Settanta, a partire dalla copertina che gioca dichiaratamente col vintage. I riferimenti più prossimi sono, non a caso, Joni Mitchell, Vashti Bunyan o, volendo chiamare in causa voci maschili, Leonard Cohen e Nick Drake.

 

Quello di One of These Days, Back to You, Solitary Daughter, Heart Take Flight è un folk da focolare, fatto con uno stile magico e inconfondibile, capace di cantare versi come “I don’t want your pity, concern or scorn/I’m calmed by my lonesome, I feel right at home” come se fossero il lamento più cool dell’estate. C’è una sorta di distacco nel canto di Bedouine, che definisce il fascino riluttante della sua musica, ma che in alcuni momenti riesce a smuovere montagne, come nell’iniziale Nice and Quiet, nella dolce Back to You, o in Dusty Eyes, che, con un approccio vagamente pop, mette in mostra un’autenticità che dive come Lana Del Rey, per quanto possano sforzarsi, non riusciranno mai ad avvicinare. “Bedouine” è un album fatto come si faceva un tempo, una raccolta di canzoni di buon artigianato cantautorale, senza trucchi e anche senza peli sulla lingua, come dimostra la scarna Summer Cold, dedicata al dramma vissuto dal Paese d’origine dell’artista, per colpa, tra le altre cose, delle armi prodotte nel suo Paese d’adozione.

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