“La felicità è questione di attimi”: intervista a Luca Gemma

“La felicità è questione di attimi”: intervista a Luca Gemma

Luca Gemma è un autore con un suo stile e un suo immaginario, che dal 2004 (anno in cui ha pubblicato il primo album solista, dopo l’esperienza con i Rossomaltese) ad oggi ha perseguito con ostinata eleganza un preciso disegno poetico, quello di una canzone capace di contagiare l’ascoltatore con un brivido di felicità. Il nuovo album, pubblicato nei giorni scorsi da Adesiva Discografica, prodotto e arrangiato con Paolo Iafelice, ha sdoganato il termine “felicità” anche nel titolo: La felicità di tutti raccoglie dieci brani (nove inediti più una cover di Caetano Veloso) suonati alla vecchia maniera, con una energica sezione ritmica, chitarre r&b, sezioni di fiati, tastiere e sintetizzatori vintage.
Il risultato è un disco puro e ambizioso, un piacevole ritorno all’italiano dopo la parentesi anglofona di Blue Songs per un autore che, compiuti cinquant’anni, non ha alcuna intenzione di rinunciare alla leggerezza della sua musica.

 

 

In che modo e in che tempi sono nate le canzoni de La felicità di tutti?

“Avevo nel cassetto due canzoni incomplete, Futuro semplice e Cajuìna (esistere) e una intera, Fragole e cielo che avevo inizialmente pensato per altri cantanti. Le altre sette sono state scritte dopo Blue Songs del 2015, il mio disco in inglese.  Abbozzo molta musica, registro sempre, poi decido cosa sviluppare quando sento qualcosa che mi piace davvero. Arrivo solitamente ad avere una ventina di brani e poi con gli scontri diretti la metà torna nel cassetto, in attesa di tempi migliori, che forse non arriveranno mai. E’ una dura battaglia per loro.”

Volendo azzardare delle percentuali, quanto c’è di istintivo e quanto di studiato nelle canzoni de La felicità di tutti?

“Di istintivo c’è sempre l’intuizione o l’ispirazione iniziale (tutte parole con la i…?). E’ quasi sempre una melodia di voce su un giro di chitarra o di pianoforte o al limite un riff. Talvolta c’è anche qualche parola che dà il senso al mood del pezzo. Più spesso è musica con parole in inglese o finto inglese. Vale il 60, 70 percento della canzone che verrà. Il resto è un affinamento, un avvicinamento lento e continuo, montando e smontando. Poi tocca al testo in italiano e sono dolori. E’ stato così anche per queste canzoni. Due di loro, La Felicità di tutti e Un bacio in più mi hanno fatto capire la direzione che stavo prendendo.”

Come è nata l’idea di fare una tua versione di Cajuìna di Caetano Veloso?

“Suonandola per puro piacere come faccio spesso con tante canzoni di altri. Mi piaceva molto il suono delle parole originali in portoghese brasiliano e mi è venuto istintivo provare a scrivere un testo in italiano che partisse da quel suono.”

Accade è un gioiello posto al centro del disco, un pezzo con arrangiamento e testo molto semplici ma oltremodo efficaci. Puoi dirmi come è nato?

“E’ l’unica ballad senza groove di batteria in tutto il disco e sta al centro proprio per questo. Si tratta di un giro di blues in Mi maggiore, nato sulla chitarra. Un brano malinconico e rarefatto che parla della possibilità che le cose belle accadano ancora, anche quando ti stai leccando le ferite. E’ nato di getto e le due chitarre, acustica e semiacustica, sono quelle originali della prima stesura registrata in casa. In studio da Paolo Iafelice ho rifatto la voce e il sintetizzatore finale.”

“La felicità di tutti” (Adesiva/Self, 2017)

Spenderei qualche parola anche su Futuro semplice, il brano che chiude il disco.

“Come ti dicevo all’inizio, ce l’avevo da un po’ in una cartella del computer. Ma era incompleto e mi dispiaceva perché musicalmente è un blues in minore dal ritmo terzinato come le ballad soul di James Brown che mi fanno impazzire, tipo It’s a man’s man’s man’s world o The soul of a black man (con rispetto parlando, ovviamente). Dal punto di vista del testo, essendo una sorta di lettera dedicata ai miei figli, un augurio affinché mantengano uno sguardo poetico sulle cose del mondo e pensino con la loro testa, aveva per me una certa importanza. Sono contento di come è venuto sul disco.”

Volendo rileggere il tuo lavoro anche retroattivamente, da Saluti da Venus in poi sembra che tu abbia sempre scritto, suonato e cantato per la “felicità di tutti”. Le tue canzoni, anche quelle più malinconiche, hanno sempre avuto una qualche forza persuasiva a trovare il sorriso nelle piccole cose di ogni giorno. Come ci sei riuscito?

“Sono così nella vita, cerco la bellezza anche dove apparentemente non c’è e so che la felicità è questione di attimi, basta farsi trovare pronti. E ho una buona resistenza alle intemperie.”

Direi di più: le tue canzoni sembrano un antidoto alle bruttezze di un’attualità fatta di odio reciproco, violenza, pericolose recrudescenze razziste. Quant’è difficile mantenere uno sguardo puro, mentre tutti intorno cercano di inquinarci la visuale?

“Grazie, mi fa piacere tu lo dica. Perché è quello che cerco nella musica e nell’arte in generale, anche come fruitore ovviamente. Il punto è proprio quello: è pieno di cose e persone che volenti o nolenti riempiono la tua visuale con chilate di metaforica “merda”, ma tu continui a cercare di posare lo sguardo su ciò che ha grazia e bellezza.”

Un altro aspetto che accomuna un po’ tutti i tuoi lavori è la cura “artigianale” con cui i dischi sono realizzati e anche una certa estetica vintage. La felicità di tutti non fa eccezione, ricco com’è di sapori e suoni che rimandano agli anni Sessanta e Settanta.

“Sì, è così. Quel suono vivo e organico è il suono giusto per le mie canzoni ed è reso possibile dai musicisti con cui suono, Roberto Romano, Nik Taccori e Andrea Viti e da Paolo Iafelice che insieme a me produce.”

Nel periodo trascorso dal precedente album hai compiuto cinquant’anni. Guardando avanti come vedi il tuo rapporto con la scrittura di canzoni?

“Nel tempo mi sono sempre posto tre condizioni: scrivere canzoni più belle, avere qualcosa da raccontare e non avere paura di cambiare. Vedremo se ne sarò ancora capace!”

 

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