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Il Poeta

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14 GEN 2010 – Ho due amici in quel di Perla,  a cui tengo.

Essi sono dotati di  grande sensibilità d’animo (ad esempio, sono portati alla commozione), di  compostezza (ad esempio, non si alterano, non gesticolano, non fanno l’”ombrello” nel cono di ripresa delle telecamere esterne dei negozi), di notevole livello culturale, letterario, storico e  anche politico (ad esempio, non sanno chi sia Berlusconi).

Essi scrivono frequentemente, in forma censoria perloppiù, firmandosi in sigla di tre lettere maiuscole: tengono sotto controllo il territorio di e limitrofo a Santomartire e  Perla, giudicano se lecito od illecito  il divenire delle attività pubbliche in tale geograficità, pungolano la mente e le inerzie  dei cittadini appecoronati amplificando i ruggiti, mordendo al garrese i belanti.

Sono attivi, danno un senso compiuto alla loro vita, nobilitano la loro esistenza, si posizionano all’esterno del coro, per me sono un esempio.

Essi sono moglie e marito.  Chi li conosce sa che lei è minuta , atletica,  con  riccioluti capelli  corvini, gli occhi neri mentre lui è alto, appena un po’ appesantito, con quel grigio dei capelli una volta biondi, gli occhi chiari. Ma nessuno sa, eccettuato me , che lei usa un travestimento e lui soggiace ad un incantesimo.

Quando nessuno li vede – e non dovrei raccontarlo perché, a torto, come si vede,  mi considerano fidato – con un gesto repentino, tirando dalla nuca, lei si libera della parrucca ricciuta a cui è attaccata anche la maschera facciale di leggera gommina e , scuotendo la testa, libera la gran massa dei suoi veri capelli, biondissimi; poi, velocemente con due tocchi esperti, toglie le lenti a contatto scure mostrando uno sguardo che più azzurro non si può; per uno strano fenomeno abbinato ai due gesti precedenti, la sua figura si alza di cinque centimetri che diventano almeno dieci quando indossa delle scarpette bianche col tacco di cristallo. Tutto ciò avviene quando in lui inizia uno stranissimo processo di  cambiamento che si rivela, incredibilmente, accelleratissimo: i capelli grigio-biondi si diradano molto, la pelle si raggrinzisce fortemente e assume tonalità verdognole, gli occhi si scuriscono imbolsendosi. Non credo di sbagliare se affermo che il processo lo porti  a somigliare a…sì, non sbaglio…un rospo!

Lei, allora, gli si avvicina veloce e, mentre lui è preso da un tremito che gli squassa il corpo, lo avvince a sé e lo bacia, sulla bocca: credetemi, nell’arco di pochi secondi, lui ritorna ad essere il  bell’uomo di sempre, con delle posture principesche nei primi minuti dal ripristino e spesso, incomprensibilmente per me tutte le volte a cui assisto al fatto, chiedendo dove sia un suo cavallo bianco: a quel punto,  lei lo redarguisce con parole il cui senso mi sfugge, proprio mentre reincalza maschera e parrucca e riposiziona le lenti a contatto scure: “ Taccia, altezza!” dice, ad esempio.

Ma tant’è: mi hanno confessato che devono ripetere tutta la manfrina ogni ventiquattr’ore, intorno alla mezzanotte di ogni giorno.

Voglio bene a quei due. Giorni fa, hanno invitato me e mia moglie ad accompagnarli in un paese non lontano da  Santomartire per assistere alla presentazione di un  nuovo libro di un anziano Poeta  , di quel luogo storico nativo.

Mia moglie non era in vena e ha declinato l’invito però mi ha consigliato l’abbigliamento da indossare per l’occasione e quando, sulla porta di casa,  l’ho salutata ho chiesto:

“ Come ti sembro?”

“ Che ne so!” ha risposto guardandomi con la testa un po’  di lato : “ti sei vestito bene però hai un’espressione…sembri …una ranocchia!”

“ Baciami subito, allora!” le ho detto fra il serio ed il faceto “ potrei essere preda di un incantesimo …”

Devo esserle sembrato simpatico perché mi ha sfiorato le labbra con un bacetto.

“ Adesso cosa sembro? “ le ho chiesto uscendo di casa.

“ Adesso sembri un rospone!” mi ha risposto sbattendomi la porta in faccia.


L’elegante sala rossa del Comune sede dell’evento è gremita di gente .

Sul fondo della sala, dietro un’enorme scrivania, sono sedute tre persone: l’Assessore alla Cultura in rappresentanza del Comune, un Professore di letteratura italiana  quale relatore e, fra i due, piccolo piccolo,il Poeta. Tutti i presenti hanno già un posto, noi tre no: il mio amico trascina me e la moglie a sedere sulle sedie della prima fila, fronte scrivania degli illustri, che sono le uniche rimaste libere   sicuramente per i  VIP ritardatari:

“ Siamo noi i VIP ritardatari. Sediamoci” dice il mio amico a cui do il nome di comodo di Giorgio. Lo facciamo lasciando che fra noi s’assida sua moglie; noi maschi siamo leggermente intimiditi anche se facciamo finta di no mentre lei, che chiamerò Sara,  si aggiusta con nonchalance la parrucca di ricci corvini: io solo noto come la maschera di gommina si muova,  di rimando, sulle guance e sul naso.

Una hostess ci omaggia con il libro dell’ultima raccolta della produzione del Poeta, oggetto dell’evento di presentazione pubblica.

Prende la parola l’Assessore alla Cultura alle sedici e trenta e dice che il Sindaco non è presente, anche se voleva assolutamente esserlo e porge sentitissime scuse, per sopraggiunti , ehm, impegni famigliari: riesce a trasmettere così male il presunto dispiacere del primo cittadino che probabilmente nessuno gli crede ed io  immagino il sindaco al caldo di casa sua a sgranocchiare quel che resta dei torroni delle feste. Poi dice che non è la prima volta che , grazie a lui assessore,  si crea in Comune un evento per il Poeta e lui quale assessore è felice di mettere la  volontà personale ed il proprio potere pubblico a disposizione dei cittadini benemeriti. A proposito, stava per dimenticare, dice ancora che il Sindaco, se risolti in tempo i problemi famigliari, comunque potrebbe arrivare a presiedere la riunione ma ( e qui rivolge per la prima volta lo sguardo agli astanti anzicchè al piano della scrivania) ben conoscendo lui il sindaco già sa che non ver…cioè, non riuscirà a ven…intendeva dire che l’impegno che lo tiene lontano dall’evento sicuramente non sarà risolto in tempo, insomma il Sindaco dobbiamo scorarci di vederlo. Il più addolorato, comunque, sembra lui per il mancato riscontro della sua attività da parte del primo cittadino mentre nessun dolore sembra cogliere alcun altro: così l’applauso scaturisce spontaneo in platea quasi a zittire, finalmente, il politico e sollecitare il divenire della riunione culturale; scaturisce, però, proprio quando l’Assessore vorrebbe aggiungere ancora qualcosa che si è nuovamente scordato di dire, sicuramente sul Poeta imbarazzantemente  mai nominato e che lo scruta di sottecchi, dal basso in alto per via della differenza di statura, pur da seduti .

Parla ancora, dunque, l’Assessore, ed in qualche modo riesce a collegare la valenza dell’illustre concittadino Poeta con i riconoscimenti dallo stesso ottenuti nei concorsi e nelle rassegne letterarie a cui ha partecipato, di cui vuole citare l’ultimo :  premio primo al concorso internazionale di… di…Ponza.

“ Monza” lo corregge il Poeta in un sussurro, aprendo bocca per la prima volta, ma le parole vengono amplificate dal microfono già acceso che ha di fronte.

“ Come?” gli chiede l’Assessore,  sulla difensiva.

“ Monza, non Ponza” gli dice umilissimamente il Poeta.

“ Ah, mi scuso, Monza, Monza” ribadisce il politico ma si capisce perfettamente che sta chiedendosi cosa c’entri Monza con la poesia…

Decide di chiudere in crescendo il proprio intervento, l’Assessore e afferma, alzando il tono di voce e contemporaneamente una delle copie del libro di cui tutti i presenti sono stati omaggiati, quanto sia vero, come afferma il titolo del volume, che il Paese in cui siamo riuniti stasera   rappresenti per i natii  proprio il Luogo dell’anima !

Non comprendendo se abbia o meno finito l’intervento, il pubblico esprime un applauso incerto, tutt’altro che convinto.


Dal lato opposto della grande scrivania – si son fatte le diciasette e trenta –  inizia a parlare il Relatore-professore di lingua e letteratura italiana brandendo anche lui in una mano  una copia del nuovo libro del Poeta mentre usa l’altra, con l’indice teso, per autodirigere il flusso delle parole che gli sgorga di bocca (il Relatore-professore  è identico, come conformazione del capo,forma a mezzaluna delle orbite, curvatura del naso e, non ultima, espressività  del viso, ad una civetta: come il rapace tiene socchiusi gli occhi per poi, con spavento del pubblico, aprirli improvvisamente mostrando di possedere anche il classico strabismo del volatile).

Subito, l’acculturato redarguisce l’Assessore: non vuole significare, il titolo del libro, che  il Paese in cui siamo riuniti rappresenti per i natii il Luogo “dell’anima” ma bensì “nell’anima”, non dell’anima come cita l’Assessore, ma nell’anima cari signori presenti, capite? , non appartiene il paese a qualcosa, all’anima nel caso specifico, ma è un luogo radicato in qualche cosa , nell’anima appunto!

Il professore ripete non meno di otto volte il concetto. (Sorrido fra me perché mi vien da pensare che, se fossimo a Roma, sarebbe presente senz’altro il solito gonzo dissacrante che, all’ottava spiegazione, sbotta con il classico “ sì, dell’anima de li mortacci tua!”).

Il Professore per fortuna decide di andare avanti,  è amico del Poeta, lo afferma, amicissimo da sempre, da quando erano ragazzi, il Professore stressa anche questo concetto.  E , si badi bene, è amicizia  di piedestallo letterario, profonda, anche se non così profonda com’era quella del Poeta con altri tre paesani di comune conoscenza, purtroppo venuti a mancare ; si vedrà dopo quale fosse il collante, non letterario , di tale simbiosi sentimentale sui cui effetti, eh eh, lo stesso Poeta ha dovuto dichiarare pentimento in un’apposita poesia!

Ma diciamolo subito, via, dice il Professore,  qual’era il sentire comune dei quattro: per quanto a nessuno importi granchè, il Professore svela come  la caccia fosse tale tendere condiviso, ma proprio  la caccia per la caccia, il mirare e colpire, l’appostarsi e tirare, il volo e la parabola di stallo. Ah!

Cita ancora il Professore, che il Poeta , giunto avanti con l’età, ha scritto “mi pento” (di esser stato cacciatore) in un’ode. Per come lo dice, il pubblico recepisce che l’abbia scritto solo dopo l’abbassamento naturale della vista per senilità con il conseguente obbligato abbandono dell’attività venatoria. Prima, a partire dalla giovinezza, quei quattro avevano tirato a qualsiasi cosa si muovesse nel loro cono visivo usando , cronologicamente, il sasso a mano, il sasso a fionda, la freccetta a cerbottana, la freccia ad arco, i pallini a fucile ad aria compressa, la rosa a fucile. Solo per  diversità tradizionali non hanno conosciuto ed usato anche  la lupara.

Il Professore è lanciato, non si ferma: dice che è lui ad aver scoperto nelle liriche del Poeta  tracce di Leopardi, assonanze di Montale, profumi di Pavese, pregnanze di Valiani.  Degli esempi? Li esplicita, ha preparato appositamente dei riferimenti  a segnalibro, inserendoli nella pubblicazione oggetto dell’evento: ma, forse per l’emozione , forse perché sente la stanchezza che comincia a prendere il pubblico, confonde i riferimenti, sostituisce gli esempi, si meraviglia di star sbagliando, inizia a scusarsi e, alla fine, decide di  aggrapparsi, seppur senza logica consequenziale, a dove ha cominciato.

Puntualizza nuovamente, il Professore, come il titolo del nuovo libro del Poeta non indichi  il Paese natio quale luogo “dell’anima” ma “nell’anima”….

L’applauso del pubblico, sfinito, che lo interrompe,  lo trova impreparato, lo blocca – come un’istantanea – nell’espressività connaturata della civetta improvvisamente illuminata, immobile e sbalordita, sopracciglie altissime, occhi sbarrati.

In quel mentre, non voluto, dalla bocca mi scappa un rantolo sussurrato  “aahhhh…” reso quantomai tragico dall’afonicità dell’acca italiana. Provo un forte dolore alla gamba sinistra che mi parte dal gluteo, diommio!, il nervo sciatico?, allungo l’arto verso gli illustri, solo un attimo, lo ritraggo, lo ridistendo…

“ Cos’hai?” mi chiede Sara. Mi giro piano verso di lei:

“ Dolore alla gamba” rispondo e vedo anche che Giorgio è alquanto pallido,  un po’ teso.

 

Sono le diciotto e quaranta quando l’Assessore riprende la parola per darla , finalmente, al Poeta a quel momento totalmente silente.

Anche nella sala rossa  si fa silenzio perfetto.

Lui inizia a parlare con quel suo tono umile, ecclesiale, un po’ cantilenando,  leggero sorriso melanconico che increspa l’angolo della bocca,  sguardo sul pubblico sfuggente.

Si sente solo, dice.

Ah, ci fossero ancora i tre cari amici  di cui ha parlato il Professor-relator  amico …Sì, sì, era la caccia ad averli uniti per sempre, la tensione venatoria, quella spinta nascosta nel dna che trae origini dalla necessità di sopravvivenza, dalla soddisfazione del bisogno primario della fame, dalla sussistenza per la perpetrazione della specie…

Il Poeta, al pensiero delle battute con gli amici, si illumina tutto: il pubblico percepisce che se avesse un fucile a portata di mano aprirebbe la finestra della sala per tirare al volo a  qualche cosa di mobile là fuori, lui confessa di averlo fatto fin da bambino con rondini, passeri, gatti;  gli sfugge un detto che non conosco:

“ E’ san Luca e la palomba è perduta” si umetta le labbra pronunciando palomba-perduta.

Ma quale pentimento! Tutti in sala capiscono  come il poeta sia già pentito di essersi pentito di essere stato cacciatore, che lo sarà per sempre cacciatore  e continuerà a sognare lo spiedo con duecento tordi tirati giù il giorno prima a rigirar sulle braci lento…

Lui si squote  dalla pulsione che lo sta prendendo e si costringe a toni ed atteggiamenti più melanconici, tardo romantici, tristi. Ah, quegli amici, con cui più potrà accompagnarsi… ha preso una copia del suo libro dalla scrivania, la accarezza, la apre; la voce che gli si spezza perde completamente i bassi lasciandogli i falsetti struggenti, singhiozza.

Il mio dolore alla gamba, intanto,  è divenuto lancinante, “aahhh” mormoro nella mia testa, sono costretto a riallungarla, la gamba, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Anche quelli del Poeta lo sono e ci stiamo fissando, lui pensa che sia commosso per quello che sta esternando e non certo per il dolore fisico: da quel momento il Poeta tralascia di guardare il pubblico e si rivolge  solo a me!

Guardo Giorgio un attimo, è più pallido di prima.

Il Poeta mi declama la prima poesia del nuovo libro che scoccano le diciannove , è quella che da il nome all’intera raccolta e che ha vinto il premio a Monza. La legge bene, fa passare le pause per riallineare gli occhi ai versi scritti come momenti di dizione artistica, sospensioni emozionali, silenzi teatrali…

Lo si applaude, alla fine della poesia. Ringrazia chinando leggermente il capo e, prim’ancora finisca il battimani, quasi fosse a gentile richiesta, declama il titolo della seconda lirica che reciterà.

La recita e recita anche la terza e la quarta…Calcolo che ha  tenuto una media di due minuti a poesia, le poesie nel libro sono una novantina: mioddio, penso, potrei finire qui i miei giorni!

Riguardo Giorgio un attimo , è pallidissimo e mi fa cenno di avvicinarmi. Incontriamo le nostre teste all’altezza di quella di Sara, Giorgio mi sussurra “ Scusami se ti ho condotto qui”, Sara mi sussurra “ Scusa anche me”.

La gamba mi duole fortemente, tanto che continuo ad avere occhi umidi,  il Poeta mi guarda con i suoi, incontro di dolori fisici e morali…

“ Sara” dico alla moglie del mio amico “ Temo che Giorgio stia male”

“ Sì, lo vedo” mi risponde lei.

Il Poeta sta recitando la ventiduesima ode, sempre guardando solo me e non abbiamo il coraggio di alzarci da là davanti, davanti a tutti,  e di scappare.

“ Sara” dico alla moglie del mio amico “ Giorgio adesso sta malissimo”

“ Mioddio, hai ragione!” mormora lei. 

A Giorgio sta chiaramente subentrando la crisi che normalmente si ripete a mezzanotte, è divenuto quasi verde nella faccia che mostra l’affiorare veloce di un numero impressionante di rughe e l’apparire delle sembianze batracee.

Lo salva l’applauso del pubblico che invoca clemenza alla trentasettesima declamazione quando sono quasi le venti.

Veloci come il fulmine ci alziamo e, solo un cenno al Poeta già attorniato dai parenti dei defunti amici cacciatori, scappiamo fuori dalla sala comunale: Giorgio ha una stranissima andatura, non muove le gambe ma, piegatele, spicca dei minuscoli salti in avanti.


Fuori del Comune, mi è stato facile trovare una zona in penombra in cui far appartare Sara e Giorgio per poi allontanarmi di qualche passo. Giorgio tremava dalla testa ai piedi  mentre Sara velocemente si toglieva parrucca, maschera di gommina e lenti a contatto per poi, abbracciatolo stretto, baciarlo appassionatamente sulla bocca. Anche se discosto, ho visto subito rifiorire il mio amico, scomparire l’insano pallore e tutte quelle rughe…

Ho anche sentito Sara chiedergli in un sussurro: “ Tutto bene, sire?” e lui risponderle “ Ah, se avessi qui il mio cavallo bianco ti condurrei io stesso a…”ma non ho capito bene dove, potrebbe aver detto Praha.

Comunque , non ho  prestato neppur  minimo peso alla coppia di anziani che è passata loro vicino mentre si baciavano nella penombra.

La vecchia ha detto all’uomo, in dialetto:

“ Pure quassù sono arrivate ‘ste russe bionde!”

Il vecchio, per rincarare la dose, ha esternato anch’esso il proprio pensiero:

“  Purc’ ” ha detto.


FDA




14 Gennaio 2010 alle 16:41 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |
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