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“A Good Rain Knows” di Hur Jin-ho

di | in: Primo Piano, Recensioni


(Ri)costruire un amore mentre si sta ricostruendo una vita può richiedere un impegno a cui è impossibile essere dediti. May ha subito le estreme conseguenze del terribile terremoto di Sichuan, in Cina. Quando rivede Dong-ha, business man coreano recatosi nel Paese del Dragone per conto della propria azienda e suo ex compagno d’università negli Stati Uniti, si abbandona a ciò che qualche anno prima non era stato amore ma ci era andato vicino.
E’ la memoria ad unire sin da subito i due giovani, che non si vedevano da tempo ma che ciononostante paiono ritrovare nel breve volgere di qualche sguardo e poche battute una complicità senza imbarazzi. Ma è memoria anch’essa – memoria prossima stavolta, dolorosa, deformante – quella barriera invalicabile che interdisce alla (ri)costruzione dell’amore il naturale compimento spirituale, prima ancora che carnale. Hur Jin-ho dissemina avvisaglie qua e là ma è solo verso la fine che il dolore esplode nella memoria, dando al film una lettura storica in più. Prima, per oltre un’ora è l’incanto seduttivo tra i due protagonisti a dominare la scena. Hur Jin-ho si concentra sui giochi di sguardi e di silenzi, più che sui dialoghi – peraltro brillanti, mai scontati; regala alla storia uno svolgersi piano e un crogiolare sensuale, puntellati dalle musiche calde e ammalianti di Lee Jae-jin. Lo svolgimento piano, un passo dopo l’altro, non nega l’immobilità di fondo, anzi la sfrutta sfondandone il cuore, nelle lunghe ed eleganti inquadrature fisse, nella scelta di location ai limiti della realtà – parchi, ristoranti – in cui si svolgono molte delle scene, o nel non-luogo per eccellezza, l’aeroporto. Quando Dong-ha sta per tornare in Corea, finisce preda della coazione al non-muoversi. «May, resto un altro giorno?», chiede. Per un attimo intravede l’amore, lo sente scorrere fino a stordire. Nel climax di sensualità fin lì edificato potrebbe essere l’acme ma non è. Lì Hur Jin-ho abortisce l’abbandono ai sensi e inserisce l’elemento oscuro che domina la memoria di May. A dimostrazione che nei suoi film eros non è mai separato da thanatos, anzi ad esso è legato in modo inesorabile, come se sentimento autentico non possa nascere senza la consapevolezza della fine.
Momento di parziale rinnovamento nella filmografia apparentemente monotona del regista coreano, “A Good Rain Knows” è film colmo di significati, straripante di pathos e, forse per la prima volta, anche portatore di una virata estetizzante, nelle scelte fotografiche, nella scelta del cast, che lascia con la sensazione di un prodotto più plastificato rispetto ai precedenti lavori, tutti dall’impianto narrativo sovrapponibile ma coi colori vividi del vero sociale della Corea del Sud. Pur rimanendo ancorato al triangolo amore-morte-memoria, il cinema di Hur Jin-ho tesse dunque strategie di fuga dall’autocitazionismo e dalle sabbie mobili del melodramma. Tentativo, con “A Good Rain Knows”, riuscito non completamente, ma apprezzabile nella sua coerenza. A partire da qui Hur Jin-ho (ri)comincia a costruire il suo cinema.




21 Marzo 2010 alle 16:00 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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