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Nicolai Lilin “Educazione siberiana”

di | in: Primo Piano, Recensioni


Torna in libreria in edizione tascabile il romanzo rivelazione della scorsa stagione.


“Educazione siberiana” racconta la giovinezza dell’autore, discendente della comunità criminale degli Urka, deportata dai comunisti dalla Siberia in una striscia di terra tra la Moldavia e l’Ucraina, la Transnistria. Il piccolo Nicolai cresce nella città di Bender, rigidamente incasellato nelle regole che le famiglie criminali hanno riscritto nel corso dei decenni, come un codice nel codice, o meglio un codice contro il codice civile della società che li ospita. Gli Urka hanno regole che non sfiorano e non si avvicinano neppure a quelle del regime sovietico, vivono come depositari di una saggezza perduta, impregnati di una morale generosa benché spietata.


Nicolai Lilin parla di questo mondo altrimenti sconosciuto, attraverso le sue esperienze personali ritrae un’epopea travolgente e spaventosa e incredibile. Insieme agli altri ragazzi del quartiere Fiume Basso, Nicolai lavora come sentinella e messaggero, almeno fino all’adolescenza, quando trova la sua strada nei disegni e nella loro incisione sulla pelle dei criminali, diventando un apprezzato kol’šik («quello che punge») grazie agli insegnamenti di Nonno Leša. Il lavoro di tatuatore non lo tiene fuori dalle dinamiche criminali, che Nicolai cavalca con coraggio e integrità, senza alcuna forma di esaltazione e di compiacimento, proprio come prevede l’educazione siberiana. Scorrendo le trecentocinquanta pagine del romanzo si scopre così la cultura di questi criminali onesti, e non si tratta di un ossimoro. Il vero criminale siberiano è dignitoso, disprezza i beni materiali e i soldi sopra ogni cosa («un criminale degno ha addosso solamente i suoi tatuaggi, il resto è umile»), non tiene mai denaro in casa perché il denaro porta infelicità e sfortuna alla famiglia, ama i deboli, le donne, i bambini, considera i disabili degli angeli.


Essere un criminale siberiano vuol dire sapere che esistono armi oneste e armi di peccato, che le prime vanno usate per la caccia, le seconde per scopi criminali; vuol dire sapere che un’arma onesta e un’arma di peccato non si possono tenere nella stessa stanza, per evitare che si contaminino a vicenda; implica il tenere bene in mente, sin da bambini, che togliere la vita a qualcuno e morire sono cose del tutto normali se ci sono valide giustificazioni; implica l’abituarsi subito alla morte e all’uccisione, mostrare ai bambini più piccoli come si uccidono gli animali da cortile, permettere a quelli più grandi di uccidere da soli un animale, portarli in macelleria per imparare ad usare il coltello sui corpi dei maiali appesi. Il criminale siberiano sa che dai poliziotti non si deve prendere altro che botte e che tutte le botte prese vanno restituite con gli interessi; sa che giurare è un segno di debolezza e un’offesa verso se stessi, quindi non si deve giurare per nessuna ragione; che i galli, cioè gli omosessuali, sono reietti ai quali è vietato il contatto con gli oggetti di culto oltreché con la gente per bene.


E’ chiaro che per gli Urka ci sono il bene e il male, ma sono categorie talmente diverse da come siamo abituati a percepirle noi da risultare irrintracciabili. E’ chiaro che l’onestà nel crimine porta rispetto e onori e che attorno alle famiglie di criminali siberiani si crei un’aura mitologica che finisce per affascinare e irretire. Ma è altresì chiaro che un Urka resta un criminale nel pieno senso del termine, non si fa scrupoli a sentenziare sommariamente la fine di un nemico, ad eseguirla a sangue freddo, a far scomparire nel nulla le vittime, a farle annegare, secondo il modo di dire siberiano, «senza lasciare neanche i cerchi nell’acqua», nessuna traccia: materiale biologico per concimare la terra.


Il romanzo di Lilin è prezioso nel suo portarti a distanze abissali dal posto in cui sei seduto a leggerlo, in una no man’s land che non esiste più. Puoi iniziare la lettura – come è successo al sottoscritto – sospettando un fake stile J.T. Leroy; arrivi alla fine straconvinto che, se anche fossero frutto d’invenzione o persino scritte da uno che in Trasnistria non ha mai messo piede, le vicende di “Educazione siberiane” siano assolutamente necessarie. Per questo la lettura del libro è vivamente caldeggiata. A patto di non essere il tipo di lettore bisognoso di pagine rassicuranti.




17 Marzo 2010 alle 23:16 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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