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Philip Roth “L’umiliazione”

di | in: Primo Piano, Recensioni


«Ma alla fine verrà un giorno, pensò Axler, in cui le circostanze la metteranno in una posizione molto più forte rispetto all’idea della fine, mentre io sarò arrivato a trovarmi in una posizione più debole per il semplice fatto di essere stato troppo indeciso per troncare adesso. E quando lei sarà forte e io debole, il colpo che verrà inferto sarà insopportabile.»


Nella densa bibliografia recente del maestro di Newark, “L’umiliazione” è un tassello splendente e nient’affatto minore, come le sole 118 pagine potrebbero indurre a pensare. Romanzo breve sui fallimenti e le illusioni della terza età, sui desideri iperbolici di chi vede il tempo accorciarsi giorno dopo giorno, “L’umiliazione” è un’atroce messa a nudo della caducità dell’uomo e della sua fede in se stesso.
Un romanzo che si legge in un giorno che Roth ha trovato l’ispirazione per scrivere partendo dalla prima frase: «Aveva perso la sua magia». Riferisce l’autore: “Sono andato avanti a scrivere a partire da quella frase, per scoprire cosa sarebbe successo”. E la prima parte del romanzo, intitolata “In aria sottile”, è proprio il resoconto di quello che succede ad un attore teatrale, uno dei migliori della sua generazione, Simon Axler, che ad un certo punto, spiega Roth, “è salito sul palcoscenico e non c’era più niente, aveva perduto il suo potere”. Simon non è più capace di recitare e insieme al suo talento perde tutto, fiducia, sicurezza, persino la moglie. Trascorre un mese in una clinica piena di aspiranti suicidi («ognuno di essi restava immerso nella grandezza del proprio tentativo e nell’ignominia dell’esservi sopravvissuto»). Resiste alle pressioni del suo agente che vorrebbe rimetterlo in carreggiata. Preferisce l’assoluta solitudine.
A scombinare i piani di resa del sessantacinquenne ex attore arriva, nella seconda, sensuale e dirompente parte del romanzo, intitolata “La trasformazione”, una donna, Pegeen, di appena quaranta anni, lesbica. Tra i due nasce un rapporto erotico che risveglia la vitalità di Simon e consente a Pegeen di sperimentare per la prima volta le dinamiche uomo-donna. Contro tutto ciò che si oppone alla loro unione – con i genitori ed un’ex amante di lei in prima fila – i due vivono la loro storia con incoscienza, trasporto e con una trasgressione in camera da letto che lascia sbigottiti. La terza parte, intitolata “L’ultimo atto”, porta con sé la fine dell’illusione e l’inevitabile precipizio che ne consegue. Ma la perduta capacità di recitare torna a Simon nel momento estremo. E’ lì che il vecchio Cechov che gli diede il primo successo a Broadway quarant’anni prima rivive improvviso, lì che il coraggio e la tenacia dell’osannato attore si ricongiungono nella perfezione della definitiva rappresentazione.





30 Marzo 2010 alle 17:14 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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