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Non vi è dubbio che la priorità attuale sia il lavoro.

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IL PRIMATO DEL BENE COMUNE


Nel nostro territorio, come in altri più fortemente industrializzati del Paese, la crisi prolungata ha prodotto disoccupazione immediata per la forza lavoro espulsa dalle imprese commerciali e artigiane che non hanno potuto ricorrere agli “ammortizzatori sociali”, ma per coloro che, temporaneamente, hanno potuto usufruirne si profila lo spettro della disoccupazione differita, al termine delle stesse.


L’unico rimedio a questa situazione, che minaccia di compromettere la coesione sociale nel nostro territorio, è la ripresa dello sviluppo delle attività di impresa.


Occorre che nel Piceno vengano promosse situazioni ambientali e relazionali, oltre che comportamenti, tali da incentivare l’investimento da parte di nuovi imprenditori e da quelli che già operano in loco.


Bisogna individuare qual è, attraverso la ricerca di tutte le convergenze possibili, l’interesse effettivo e prioritario di tutti e assumere, con perseveranza e rigore, ogni atteggiamento e comportamento privo di concessioni e compromessi morali, coerente ed utile per il conseguimento dell’interesse comune.


Non solo l’agire politico deve essere ispirato al bene comune ma anche quello di tutta la classe dirigente locale e, non ultimo, dei cittadini.


Secondo alcuni nella società postmoderna sarebbe impossibile individuare un solo interesse comune poiché molti promuovono interessi di singoli o di gruppi a scapito di quelli dei più.


Lo stesso Papa Benedetto XVI, nel discorso di Natale, ci stimola ad individuare il bene comune, richiamandoci, per il suo raggiungimento, ad una maggiore tensione morale.


Noi tutti, ciascuno nel proprio ruolo, dobbiamo assumere responsabilità ed impegno a comportamenti coerenti caratterizzati da opportune scelte di fondo.

 

Nella gestione dei rapporti sindacali, che rappresenta potenzialmente uno degli asset che potrebbe rafforzare la capacità del territorio di “attrarre” nuovi investimenti, datori di lavoro e sindacati si trovano di frequente a fronteggiare conflitti tra interessi contrapposti.


Interessi che alla fine vengono”composti” in maniera “compromissoria”, in modo da bilanciare rinunce e vantaggi di ciascuna parte.


La modernizzazione delle relazioni sindacali dovrebbe consistere nell’ispirarsi al bene comune senza cedere, casualmente e confusamente, a convenienze dall’effetto immediato e di breve respiro.


Occorrerebbe assegnare a tali relazioni finalità di elevato valore morale e una significativa valenza educativa.


Bisognerebbe, in sintesi, perseguire l’obiettivo dello sviluppo dal quale dipendono l’impresa ed il lavoro, bene primario, quest’ultimo, a garanzia della dignità della persona.


Da una  parte è necessario l’impegno di lavoratori e sindacati a non perseguire comportamenti coerenti con la difesa di privilegi egoistici, o di quelli raggiunti con mezzi impropri assumendo con determinazione alta responsabilità morale e civile per puntare, senza incertezze, al consolidamento delle imprese, da cui dipende la stabilità del lavoro.


Dall’altra l’impegno per l’imprenditore è di preservare la risorsa – uomo, il rispetto dei suoi valori, la valorizzazione delle sue capacità, offrendo prospettive e speranze reali soprattutto ai giovani con le loro potenzialità, in modo che il bene comune si realizzi anche condividendo la consapevolezza della realtà del mercato nel quale l’impresa agisce e contribuisce a dare  vita al sistema Paese.


In questo modo i lavoratori potranno sentirsi partecipi di un progetto comune con l’imprenditore: lavoro e capitale non saranno più svincolati l’uno dall’altro, dalla loro integrazione potremo superare i difficili momenti che stiamo vivendo.


La consapevolezza dell’inscindibilità del binomio lavoro – capitale consentirebbe finalmente il superamento di barriere ideologiche, retaggio di un non più sostenibile conservatorismo. 


Bruno Bucciarelli




31 Dicembre 2010 alle 1:33 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |
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