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Che scossa!

di | in: Primo Piano

THREE LOVER COLOURS

[ “THREE LOWER COLOURS”  3. 6. ’11 h 21.30 – Interno 88 Centro Forum – S. Benedetto Tr. – Bitches Brew Jazz Club ]

 

Ci vado ancora una volta titubante, anche se questo “mostro d’architettura” mi piace un po’ di più dell’altra volta. Parcheggio allo stesso posto, m’accoccolo sullo stesso divano (con la stessa rara compagnia), prendo lo stesso succo di pera, abbraccio la stessa visuale.

Per l’ultimo concerto della stagione ancora un trio. Però 2 sovrapposte tastierine (una d’un bel rosso) e una claviettina digitale AKAI collegata a PC invece del piano della settimana scorsa, e una tromba anzi due al posto del basso. La solita batteria, all’apparenza. Più diavolerie elettroniche sparse ma piccolissime, quasi come telefonini. Sarà tutta musica elettronica, ma perchè ci sono venuto? – penso – poi chi li conosce questi? Comunque, partiti.

 

Dovrei ricominciarlo da capo, ‘sto pezzo. Dovrei chiedere scusa, cospargermi il capo di cenere, confessare tutta l’ignoranza di cui sono capace. Dovrei per penitenza offrirmi di smontare gli strumenti dopo il concerto, spolverarli, rimetterli nei loro trolley azzurri rossi e grigi, caricarli in macchina, offrire da bere a tutti.  (…)

Sono stati 100 minuti di “Jazz dipinto in elettronica” prodigiosi, impossibili per gli strumenti acustici “normali”, fantasiosi all’infinito, garbati, colorati, irripetibili, coinvolgenti come un film, commoventi come una poesia. Marco Tamburini (trombe) e soci tranquillissimi come gatti persiani, gesti e cenni impercettibili, respiri quieti e corroboranti, sguardi pensosi al ralenty. Eppure devono “obbedire” a basi implacabili, la batteria acustica su quella elettronica, le tastiere che fanno gli organi Hammond e poco dopo gli organi di cattedrale, le trombe che si riproducono come echi di uccelli nella foresta. Escono suoni che forse riesci solo ad immaginare o a sognare, motivi impossibili da ingabbiare in accordi canonici, invenzioni orientaleggianti, geometrie più proiettive che euclidee, filosofia in musica. Non ci sono, ma ascolti quartetti d’archi, tube inglesi, voci bianche, eserciti di tamburi, arpe forse birmane. Socchiudi gli occhi, li riapri e vedi di là della vetrata un carrello di supermercato spinto a folle velocità, coi giochi d’acqua a tempo, e di qua la bambina che dorme beata in braccio alla madre protetta dai lunghi capelli biondi… E’ l’elettronica, bellezza. E questi sono ricercatori di musica. Non manca però il tocco “umano”, un rudimentale gommino da idraulico che Marco, con tocco da mago, improvvisamente fa comparire sulla tromba al posto del bocchino: vien fuori un suono un po’ così, Marco fa la faccia un po’ così, e noi un’impressione un po’ così. L’unico gustoso e giocoso momento senza elettronica, ma era meglio prima. Senti cosa vado dicendo, e dire che non mi piaceva…

SBT, 2011-06-05                              PGC




6 Giugno 2011 alle 15:43 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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