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Il Catalogo, l’abbraccio di solitudini oltre memoria

di | in: Primo Piano

il catalogo

Al Lauro Rossi la piece con Ennio Fantastichini e Isabella Ferrari



MACERATA, 2012-01-15 – Il Catalogo di Jean Claude Carrière messo in scena da Valerio Binasco con due protagonisti d’eccezione, Ennio Fantastichini e Isabella Ferrari, approda al Lauro Rossi di Macerata con ben due date. Il sipario si è aperto nella serata di ieri e la replica è fissata per le 21 di oggi.

Un lavoro ingannevole, che ammalia con una certa leggerezza guidata dal facile sorriso e da una colonna sonora minimalista e scanzonata nella tessitura di violini, fisarmoniche e pianoforte. Ma il punctum va ben al di là di quel che appare.

Esiste un modo per provare ad ingannare il senso di morte e di spaesamento che attanaglia gli animi degli esseri pensanti. È quello che restituisce il dominio sulle cose indomabili. Organizzare, precisare, ordinare, catalogare eventi, cose, persone. Quello cioè che offre il senso del possesso di ciò che è stato, di ciò che è e probabilmente di ciò che sarà.

Al di là dell’incasellamento, oltre il riporre nei cassetti ogni cosa da trattenere, conservare e ritrovare c’è la memoria. Ma come? Se si conserva per ricordare, come è allora possibile che oltre la catalogazione vi sia la memoria?

La memoria, Beckett docet, ridisegna il passato con l’occhio del presente guidato dalla coscienza. Mente.

Ed allora, parafrasando lo scrittore dublinese, quello che disegna il ricordo vero è l’estrema disattenzione, l’operare fuori dai cardini dell’abitudine, oltre il filo spinato della volontà.

Il ricordo è oltre l’ordine, oltre la precisione, oltre il mondo incasellato di Jaen Jacques, un eccellente Ennio Fantastichini. Piacente avvocato single della Parigi bene vive le sue giornate tra lavoro, cambi d’abito, cene con amici e notti bollenti con avvenenti sconosciute, numeri dalle curve sinuose contabilizzati sul proprio catalogo pro-memoria.

Tre scalini in legno al di qua della porta d’ingresso e poi la camera da letto stretta tra un bagno e un cucinotto, due blocchi che nel ritaglio dei muri rivolti al pubblico, non lasciano niente all’intuizione, libero accesso all’occhio dello spettatore.

Qui, nell’ordine di spazi si consuma l’ordine di tempi. Eppure come in ogni opera che si rispetti il caos arriva inaspettatamente e dall’entrata principale.

Pantaloni a zampa, borsa frangiata e cappotto celeste bordato di pelliccia, un simpatico accento straniero e una valigia che trascina faticosamente. Entra così nell’intimità di Jean Jacques, una donna (Isabella Ferrari), straniera in senso lato, chiedendo di un certo signor Ferrand. Varcata la soglia, la bionda strampalata signora non uscirà più dall’appartamento (“Le dispiace se resto un po’ qui? Lei esca pure”), dalla vita e dall’intima solitudine dell’uomo, nonostante la sua ovvia resistenza.

Nel turbine di comicità del primo approccio, nel paradosso divertente di irriverenze ed assurdità, pian piano inspiegabilmente si fa spazio un senso di angoscia. L’incunearsi di Suzanne, questo il nome faticosamente strappato alla confessione dell’intrusa, in spazi cinestetici e mentali, il prendere possesso del letto, dell’armadio e del prezioso catalogo, è un gioco tra solitudini equidistanti ed equipollenti.

Perchè prendere nota delle 134 donne sedotte? “Se non lo scrivo e come se non fosse successo” confessa Jean Jacques. E lo stesso ammette Suzanne di se stessa: “Tutto quello che dico è vero, tutto quello che non dico non esiste”. È del vuoto che si ha paura, è lì che si rifugge il dubbio, che si ricerca il vero, ed è lì che non v’è spazio per la bugia.

Eppure tutto lo spettacolo è una passeggiata funambolesca tra il vero e il falso, il reale e l’immaginato, l’essere e il fingersi. Non a caso i due protagonisti più volte si gridano addosso le parole “Chi è lei? Non so nulla di lei!”. Quel congelare la terza persona nonostante i giorni passino nella condivisione dei luoghi, e quel raccontarsi senza comunicare, riportano a galla il tema dell’identità. Ognuno è, solo e soltanto, nella descrizione che ne fa l’altro: prostituta o seduttore, vergine o imbranato, donna o uomo normale, estraneo o amico.

Non si è mai e basta, ma si diviene nella trasformazione continua che si attua al cambiare dell’altro.

Ed allora, nella pur sempre presente ambiguità del reale, i due protagonisti divengono solitudini appaiate che sono ben altro dalla compagnia. Come in una storia della Nouvelle Vogue, i due creano dipendenze temibili, degenerate e degenerative. La vita evolve in una attesa del nulla. Jean Jacques lascia il lavoro per stare con Suzanne, e Suzanne continua a vegetare fingendo di cercare una casa altra dove andare a vivere la sua non vita. Senza lavoro, incapace di imparare, senza casa, stanca di un sonno che non la lascia se non di notte, la donna condivide l’indolenza alla Godot e assorbe lo spaesamento di Jean Jacques.

Non c’è una storia d’amore, un bacio, una condivisione di sentimenti. L’uomo che voleva disfarsi dell’intrusa si converte in uno zerbino pronto a soddisfare quelli che nella sua percezione sono i desideri della donna.

Ma qui è l’incomunicabilità. Quel gioco di ripicche, di gelosie fomentate, di minacce allacciate alla paura della perdita, non conducono ad una comunicazione reale.

Jean Jacques lascia tutto, convinto che il desiderio di Suzanne sia quello di stare con lui, di vivere insieme e in quella piccola casa. Di contro Suzanne ha desiderio dell’uomo sono nell’assenza di quest’ultimo e quel senso di attaccamento dimostrato precedentemente viene quasi irriso nella confessione d’amore dell’uomo.

Che importanza ha chi è l’altro quando si è spaventati dalla propria solitudine? Ed allora Suzanne può tranquillamente essere la donna che, di fronte allo scoramento e alla esasperazione di Jean Jacques per la paura del distacco, ha finto di cercare e di aver trovato un’altra casa. E Jean Jacques può divenire l’uomo del passato, il signor Ferrand.

In fondo in quel non luogo vi è tutto quello che serve, una solitudine che si consola con un’altra fingendosi compagnia.

Teatro pieno e pubblico che sospinto dagli applausi azzarda una standing ovation.




15 Gennaio 2012 alle 23:19 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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