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Bacchette al Battente

di | in: Editoriali

bici

di PGC


Legenda: le “bacchette” sono quelle dei freni-a-bacchetta delle bici di una volta, cui Franco Pirzio ridà vita. “Al Battente” è il Centro Commerciale di Ascoli Piceno, un mostro come tanti con però davanti un bellissimo gran casolare allo stato di rudere (non riescono ancora a mangiarselo, ma ormai è quasi fatta).

Ecco, l’incredibile disperata “mostra” delle bicirici di Pirzio nella “hall” del Battente è come quell’affettuoso casolare dalle geometrie poetiche: due cose, per i tempi, “fuori posto”. Eppur preziose. Provvisorie come due irripetibili performance artistiche a tempo: la mostra di Pirzio che finisce domenica e il vecchio casolare che sta disfacendosi da solo. Al posto delle bicirici lunedìesporranno, chessò, automobili divani attrezzi da palestra mobili da giardino; al posto del casolare e dei suoi stanchi alberi sorgerà l’ennesima costola del Battente, o un altro parcheggio…

Vien da piangere.


Ma dove mai puoi goderti tutte insieme quasi venti biciclette con freni a bacchetta (qualcuna centenaria) non solo restaurate con amore ma ognuna numerata, con la sua “storia” che Pirzio-artista-artigiano può raccontarti di persona, o regalandoti quel suo libriccino “Storie di biciclette” che nelle librerie non c’è e che nessuno mai troverà neanche alla caccia al libro di Fahrenheit?

“Mettici il cuore ed è subito bici” era il silenzioso titolo della mostra. Ma Pirzio non lo sapeva che proprio sulla testa gli pendevano due bandieroni pubblicitari di casa-Battente mettici-il-cuore-e-la-primavera-cambia e mettici-il-cuore-e-cambia-i-tuoi-saldi (sic!), e che per “parete” si ritrovava una gigantesca bacheca con la guida ai mille reparti del supermercato…

Intorno, consumatori-robot che spingono carrelli, musicaccia spingi-acquisti che istupidisce, sguardi persi, caldo misto a ventate di rumoroso fresco artificiale. Ma venti meraviglie a pedali, lì in mezzo, non dovrebbero meravigliare almeno un po’? Macchè. Come fossero invisibili, trasparenti, immateriali. Qualcuno al massimo cerca automaticamente il prezzo sul manubrio, come davanti a un aspirapolvere, o a un televisore. Facce buie , occhi bassi o ruotanti a periscopio, pensieri assenti. Automi con carrello incorporato. Come stercorari che spingono palle di sterco, ma su pavimento orizzontale luccicante.

Le venti opere d’arte non attirano persone: che anzi le evitano, sterzano, fanno lo slalom, per precipitare prima possibile tra le sorridenti fauci delle merci. Se al posto delle bicirici ci fossero stati dei dipinti del Louvre, delle sculture degli Uffizi, dei sarcofagi del Museo Egizio di Torino, sarebbe stato lo stesso. Cosa vuoi aspettarti in un “Tempio del Commercio”. Sconsolante.

Ricordo cinque anni fa, un Centro Commerciale vicino che ebbe la pensata di noleggiare Giorgio Albertazzi e la sua fida sciarpa viola, per farlo esibire su un palco montato davanti a olezzanti formaggi mozzarelle e salumi. Scopo dell’evento, promuovere libri, far nascere addirittura una biblioteca-di-scambio. Quegli scaffali son sempre rimasti deserti e sporchi. Niente da fare: questi “Templi Commerciali”, più sono pieni e luccicanti più sono vuoti “Templi del Nulla”. E noi lì dentro regrediamo a doppia velocità.

Sabato a Franco gliel’avevo detto: portiamocele via adesso, ‘ste biciclette, prima che s’inquinino anche loro…

Però un’eccezione l’ho vista: un anziano-di-campagna col vestito della domenica, pantaloni marron vita alta con cinta di cinghiale e camicia celestina ampia maniche corte, statura bassa, guida il carrello come il trattore, maniglia stretta, vicino ai denti. Sembra solo. Fa due giri in tondo, lentamente, guardingo, osserva quasi di nascosto. Sembra che l’attiri la bici meno appariscente, quella da donna grigio scuro opaco che fu del papà di Franco, che tutte le mattine ci andava a lavorare in fabbrica, al Carburo di Ascoli. Tanto che ha ancora il tipico color-carburo. Un magistrale restauro “conservativo” fatto col cuore: si sono fermati non solo il tempo, ma gli odori, la fatica, il paesaggio, le voci… Lui la guarda rapito. Chissà se anche lui aveva lavorato alla Carburo, chissà se ci andava in bicicletta, chissà se si erano “conosciuti”… ma non ho fatto in tempo a chiederglielo. Alcuni suoi parenti urlanti (nipoti o roba del genere), che forse se l’erano perso, da lontano si sbracciano e lo sgridano, e lui quasi cade per raggiungerli. Con gli occhi lucidi, mi pare…

2012-07-18,      PGC




18 Luglio 2012 alle 16:22 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |
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