Benvenuto e Buona Navigazione, sono le ore 09:09 di Ven 29 Mar 2024

Al Lauro Rossi “I like Mike”, il viaggio nel Jazz di Mike Melillo

di | in: Primo Piano

Mike Melillo

Un reading concerto di grande intensità con il testo di Massimo De Nardo

MACERATA – I luoghi, per certi versi, non sono spazi fisici. Essi sono tutti nelle nostre menti, sponde di immaginazione, scenari, profumi, persino paesaggi calati in condizioni meteo che si aprono a seguito di parole, ricordi, odori, suoni.

Martedì sera con “I like Mike”, reading concerto di e con Massimo De Nardo e Mike Melillo e in collaborazione con Musicamdo, il teatro Lauro Rossi di Macerata ha aperto uno squarcio sugli States anni ’50, sui club fumosi del New Jersey, su vestitini a pois e t-shirt a strisce, su quell’America del Sogno, che custodiva parità agognate ed ottenute, che rispondeva al “vorrei” con la concretezza del “puoi”.

Quell’America-Patria, un po’ mamma un po’ aguzzino nel condannare a morte i suoi figli più giovani in quella striscia di terra che è il Vietnam. Quel cielo di 50 stelle capace di unificare, sotto il nome di jazz, neri e bianchi. Quell’America che, non a caso, ha dato i natali a Michael Junior, Cosimo Melillo.

Perché martedì 30 aprile era la Giornata Internazionale Unesco del Jazz, quello stesso jazz che secondo il Ministero dei Beni Culturali “Non è espressione diretta della cultura italiana” e dunque non va finanziato e sostenuto. Eppure molto del jazz significativo viene in qualche modo dal vecchio stivale, ad iniziare da Nick La Rocca a Leon Roppolo, da Tony Bennett a Joe Venuti.

E poi c’è lui, Mike, un illustre cittadino per Macerata, un colosso del jazz internazionale, un vaso di Pandora da scoperchiare per venire travolti da aneddoti in grado di carnificare in un istante Sonny Rollins, Phil Woods e Chet Baker, per dirne solo alcuni.

I like Mike” non è unicamente un omaggio al jazz o a Mike Melillo, ma un viaggio vero e proprio. Un viaggio studiato nel particolare e raccontato da un testo eccezionale, quello sgorgato dalla penna di Massimo De Nardo, direttore della rivista culturale Rrose Sélavy. De Nardo racconta e lo fa con la potenza del mhytos, una narrazione che parte dal fatto per divenire ricordo, poi ancora fatto e poi altro, astrazione. Un ritratto di Mike Melillo fatto con colori acquerellati, rapidi eppur capaci di dare l’idea delle cose, diluiti nei sentimenti, nella macina del tempo che tutto un po’ trasforma e avvizzisce e poi, di nuovo, vivifica.

Dal vecchio pianoforte verticale con le gambe terminanti a testa di leone, che il piccolo Mike contemplava a casa dei nonni, ai primi concerti con l’orchestra del padre; dagli incontri-scontri con la musica insegnata, quella da leggere, alla musica secondo Mike, quella da ascoltare, suonare e allontanare da qualsiasi postura del pentagramma.

E poi il primo tour con Sonny Rollins, l’incontro con Phil Woods, l’amore per Barbara e la famiglia nata con lei, la scomparsa del suo amico Chet Baker. Il tragitto durante il quale ci accompagna la voce calda e forse a tratti troppo enfatica di De Nardo, dove al racconto si mescola il dialogo diretto sempre nella forma della rievocazione, è inframmezzato dal suono vivo del piano di Mike. È come uscire dallo sbiadito, una sorta di composizione fumettistica nella quale al tratto leggero del ricordo, si abbina quello vivo, dai colori luminescenti, del suono del pianoforte in presa diretta.

Dal punto di vista musicale, lo spettacolo si mostra altrettanto ben costruito. Se qualche perplessità poteva lasciarla l’attacco, con pezzi per lo più ridotti alla temporizzazione della canzone, dopo, col proseguire dello spettacolo, si ritrova invece l’assenza di obblighi temporali, in pezzi che, mister jazz docet, si lasciano condurre come espressione dell’anima, del sogno.

È lì il Jazz, quello vero, quello che nasce proprio dal sogno, che non si può insegnare. E allora Mike ci sfilaccia lì davanti tutta la sua storia musicale, rendendoci partecipi anche di quel piano contemporaneo, sperimentale, fatto di aritmie e ricerche lungi dall’essere melodiche, insaporite dal metallo delle corde toccate con gli oggetti più che con i tasti, indotte alla vibrazione sinistra e ripetitiva sino alla rottura tonale.

Mike è ancora quel personaggio che è facile incontrare per le strade di Macerata, come una porta spaziotemporale su un mondo parallelo fascinoso, nostalgico, silenzioso come pioggia fina.

A lui si arriva nel silenzio di una poltrona a teatro, mentre, al di là di qualsiasi parola, a parlare è la musica di un piano solo e un uomo a testa china sulle scale bianche e nere. Lo spettacolo si chiude con “My Funny Valentine”, un sorso dall’ultimo bicchiere di Chet Baker prima che il sipario si chiuda.




2 Maggio 2013 alle 22:19 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

Ricerca personalizzata