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Murakami Haruki “A sud del confine, a ovest del sole”

di | in: Primo Piano, Recensioni

“A sud del confine, a ovest del sole” (Einaudi, 2013 – pp. 216; € 20,00)

 

Torna nella collana Supercoralli di Einaudi uno dei romanzi cult di Murakami, negli ultimi anni finito inspiegabilmente fuori catalogo. Una storia d’amore fuori dal tempo, ambientata in una Tokio piovosa e malinconica.

 

Hajime e Shimamoto sono legati da un sentimento impraticabile e inestirpabile. Si conoscono a scuola, si perdono per due decenni abbondanti, si ritrovano adulti, enigmatici e infelici. Hajime conduce una vita agiata, gestisce dei locali notturni con musica dal vivo. Ama Nat King Cole e Duke Ellington, veste Armani e guida una Bmw. Ama sua moglie e le sue due bambine, ma un senso di vuoto non molla la sua anima e la erode giorno dopo giorno. Tranne quando Shimamoto decide di riapparire. Allora tutto passa in secondo piano. “Quando ti guardo, a volte mi sembra di vedere una stella lontana”, le dice Hajime, “sembra che brilli, ma è una luce di decine di migliaia di anni fa. Forse è la luce di un astro che ora non esiste più, ma a volte sembra più reale di tutto il resto”. Nel tempo e nello spazio dell’amore latitante, Hajime ha sempre una scelta davanti a sé e il più delle volte è sul punto di mollare. La presenza-assenza di Shimamoto è il ritmo che scandisce le sue giornate; passato e presente si piegano a suo piacimento fin quasi a toccarsi, il futuro è un burrone sul niente. Se il passato ritorna, come può esserci un futuro?

Murakami, con “A sud del confine, a ovest del sole”, fa un esercizio di dolcezza, non rinuncia al simbolismo ma si svincola dal registro fantastico a cui spesso e volentieri si abbandona, canta un amore che non si dice ma non muore, che non si compie ma pulsa, scava, lacera. Rilegge il tema dell’eterno ritorno affidandosi a suggestioni ben note (la musica jazz, la pioggia e il traffico di Tokyo) e alla forma dello shishosetsu, il romanzo-confessione (o romanzo dell’io) della cultura nipponica. Hajime è l’io narrante di “A sud del confine, a ovest del sole” e attraverso la sua voce Murakami libera la sua abilità introspettiva (“Tutto intorno a me cominciò a riacquistare colore e quella sensazione sconcertante di camminare sulla superficie della luna iniziò ad attenuarsi. Era come se la forza di gravità avesse subito uno strano mutamento e mi venisse strappato di dosso, a poco a poco, qualcosa che si era saldamente avvinghiato al mio corpo. Tutto ciò lo avvertivo in modo vago, come se stesse accadendo a qualcun altro, al di là di un vetro.”) e lascia che le pagine finali del romanzo si posino sul cuore come cenere silenziosa.

 




2 Maggio 2013 alle 21:45 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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