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Fabrizio Coppola “Katana”

di | in: Recensioni

«Quella sera ero stato di nuovo con una puttana. Mi aveva detto di reclinare il sedile, aveva preso un preservativo dalla borsetta e si era chinata su di me. Fuori dal finestrino, il profilo della stazione di Porta Garibaldi svaniva dentro i miei occhi. Le scie luminose dei fari delle macchine si allungavano oltre il ponte fino a scomparire. Prima che me ne potessi accorgere, aveva aperto la portiera e se n’era andata». Inizia così “Katana”, il romanzo d’esordio di Fabrizio Coppola.
Avevamo lasciato Fabrizio alle prese con una chitarra elettrica e un bagaglio non indifferente di sogni rock, racchiusi in tre album dalle tinte anglosassoni e dalla poesia figlia per metà della tradizione italiana e per metà delle letture e degli ascolti americani. Ora lo ritroviamo con gli abiti dello scrittore, per un’opera prima che si fa notare per l’essenzialità della lingua e per la freschezza del plot, mai scontato o banale. “Katana” racconta la storia di Michele, un giovane agente immobiliare senza amici e senza donne, un uomo distaccato dalla realtà che un giorno vede il suo già precario equilibrio sconvolto da un evento del tutto inaspettato.
“Katana”  è un romanzo new-wave, come ben suggeriscono i dischi che Fabrizio Coppola, nelle note stampa, confessa di aver ascoltato ossessivamente durante la scrittura, “An End Has A Start” degli Editors e “Turn On The Bright Lights” degli Interpol. Ma questa nuova vita da scrittore non può non suscitarci altre curiosità, così abbiamo rivolto a Fabrizio qualche domanda.
Da piccolo sognavi di essere una rockstar o uno scrittore?
Da piccolo volevo diventare un archeologo, forse per colpa di Indiana Jones. La passione per la musica è arrivata più tardi. Quando ero un adolescente, invece, sì che sognavo di diventare una rockstar. A quei tempi, all’inizio degli anni novanta, si poteva ancora sognare una cosa del genere.”
E’ la prima volta che ti misuri con un romanzo? O avevi fatto altri tentativi in precedenza?
“Katana” è il primo romanzo che ho scritto. In precedenza avevo scritto dei racconti, delle poesie in prosa. L’idea di scrivere qualcosa senza l’ausilio della musica è sempre stata con me. Un giorno, semplicemente, mi si è presentata il primissimo spunto della storia che poi è diventata “Katana”. L’idea di scrivere un romanzo mi girava in testa da qualche tempo, e così mi sono aggrappato a quello spunto e ho cominciato a scrivere.
“Katana” è un romanzo, tra le altre cose, sulla casualità della vita: credi al caso?
Credo che l’esistenza sia dominata dal caso, che ci piaccia o meno. Poi noi, terrorizzati da questa idea, cerchiamo di dare un senso a ciò che accade, ma sono sempre dei tentativi puerili. Chi crede, chi ha una fede religiosa, può facilmente sostituire il termine “caso” con “volontà di Dio”; chi non crede, non avendo questa via di fuga, non può che accettare che l’esistenza sia dominata dal caso.
Hai dei modelli letterari per la tua prosa?
Molti e diversi. Devo innanzitutto citare uno dei miei primi amori di lettore consapevole, e cioè Raymond Carver. Poi sento di avere un grande debito nei confronti di Verga, che ho amato molto, anni dopo la scuola. “Katana”, in particolare, penso che debba più di qualcosa a “La strada” di Cormac McCarthy e a “La trilogia della città di K” di Agota Kristof.




18 Gennaio 2014 alle 17:43 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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