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Micah P. Hinson “Micah P. Hinson and the Nothing”

di | in: Primo Piano, Recensioni

“Micah P. Hinson and the Nothing” (Talitres / Audioglobe, 2014)

 

Etichetta: Talitres
Brani:  How Are You Just A Dream? / On The Way Home (To Abilene) / The One To Save You Now / I Ain’t Movin’ / The Same Old Shit / The Life, Living, Death And Dying Of One Certain And Peculiar L.J. Nichols / Sons Of The USSR / There’s Only One Name / God Is Good / The Quill/ Love, Wait For Me / A Million Light Years

 

“Micah P. Hinson and the Nothing” è un album creato senza l’uso delle mani, dopo che Micah ne aveva per un lungo periodo perso l’uso a causa del brutto incidente stradale del 2011. Con l’aiuto dei Twilight Sad, di T. Nicholas Phelps e del Belgium Quartet, il nostro è riuscito a registrare queste undici nuove canzoni, composte per la maggior parte prima dell’incidente, e a confezionare uno dei migliori album della sua carriera, per chi scrive il più compiuto dai tempi di “Micah P. Hinson and the Opera Circuit”.

L’iniziale How Are You Just A Dream rischia di trarre in inganno con il suo ritmo sostenuto e le chitarre distorte che portano indietro di un paio di decenni. Il salto temporale che “Micah P. Hinson and the Nothing” costringe a fare è, in realtà, molto più lungo: dalla seconda splendida traccia (On The Way Home) in poi, si torna almeno a quando Johnny Cash esorcizzava i demoni suoi ed altrui dentro la prigione di Folsom o a quando Leonard Cohen, dopo anni trascorsi a scrivere ottima prosa e ottima poesia, pubblicava il suo primo album di canzoni. Era il biennio magico 1967-1968, c’erano l’estate dell’amore, Monterey, Jimi Hendrix e “Sgt. Peppers”, ma né Cash né Cohen avevano niente a che spartire con quel clima di felicità artificiale. Micah si colloca esattamente lì, tra gli accordi dell’uno e l’ugola dell’altro, troppo derelitto per godersi la festa che impazza tutt’intorno.

On The Way Home, con il suo crooning inframmezzato da un banjo delicatamente pizzicato, seduce adagiandosi su una meravigliosa slide guitar. The One To Save You Now è uno sfilacciato ma delizioso walzerino. The Same Old Shit e Love, Wait For Me sono tracce vestite da abiti che non sarebbero dispiaciuti a M. Ward. Ma è quando decide di aprire lo scrigno del tormento più autentico che Micah dà il meglio di sé: lo fa assorbendo tutto il superfluo, come in I Ain’t Movin’, con cui mette in scena la claustrofobia seguita all’incidente, accompagnandosi con il solo pianoforte. Lo stesso senso di ebbrezza oppiacea da letto d’ospedale trapela da The Quill, dove, ancora con il piano in evidenza, riesce a gelare il sangue con una facilità quasi fastidiosa, mentre in A Million Light Years è solo un arpeggio di chitarra a sostenere un lamento country capace di annientare qualsiasi tramonto. Sono brani, questi, che percorrono le suggestioni cinematografiche che si sono sempre affacciate nella precedente produzione del cantante texano senza mai svelarsi completamente. Ed è una singolare meraviglia avventurarsi per i tagli all’anima che Micah produce con la sua voce rotta e i testi pieni di incauta poesia. «You can push me all you dare but I ain’t movin’/and you can’t please me all you need but I ain’t deciding» canta in I Ain’t Movin’ e di fronte a siffatta sincerità c’è davvero poco da aggiungere.

Il senso di sconfitta o finanche di morte che si respira da sempre nei dischi di Micah assume, in “Micah P. Hinson and the Nothing”, un tono sontuoso che permette alle dodici nuove canzoni di trovare, tra raucedini, depressioni e torture fisiche, una solennità rara.

 




6 Aprile 2014 alle 15:40 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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