Intervista a Josh Haden, leader della storica band californiana
E’ uno degli lavori più emozionanti e raffinati di questo 2016: “Carolina”, sesto album di Josh Haden e dei suoi Spain. Dopo la recente morte di papà Charlie, gigante del moderno contrabbasso jazz, Josh ha sentito il bisogno di tornare indietro nel tempo e rintracciare le radici della sua musica. Il risultato sono le dieci canzoni di “Carolina” (registrate con il fondamentale aiuto del musicista e produttore Kenny Lyon), tra le più belle della lunga carriera degli Spain, che da oltre vent’anni trasformano il quotidiano in ballate country-rock di impareggiabile eleganza.
Ascoltando il nuovo album, la prima impressione che si ha è di un lungo viaggio alla ricerca delle radici della musica americana.
Devi sapere che la mia famiglia ha una lunga tradizione di musica bluegrass e country. The Haden Family era un gruppo country che andava forte nelle radio del Midwest negli anni Trenta e Quaranta. Da piccolo, quando aveva appena tre anni, mio padre era soprannominato “Little Cowboy Charlie” perchè faceva lo yodel e suonava l’ukulele. Questa storia musicale è sempre stata presente nel mio lavoro, ma su “Carolina” è diventata molto più evidente.
Nell’album c’è anche un luce che spesso è mancata nelle tue opere…
Dal punto di vista tematico, in realtà, è un album pesante ed oscuro. Musicalmente però è più cantautorale dei precedenti e questo è il motivo per cui sembra più luminoso.
Cosa puoi dire del contributo di Kenny Lyon a “Carolina”?
Kenny Lyon mi è stato presentato da Merlo Podlewski, il chitarrista dei primi tre album degli Spain. Io e Merlo siamo ottimi amici. Cercavo un nuovo chitarrista e Merlo era convinto che Kenny avrebbe fatto al caso mio. Kenny ha un orecchio musicale incredibile, inoltre ha una grande esperienza in studio, sia come produttore che come ingegnere del suono. E’ anche una persona straordinaria da avere attorno, sempre pronto a raccontare una delle sue folli storie. Ad ogni modo, credo che Kenny abbia capito alla perfezione cosa stavo cercando di fare con “Carolina” e questo, ascoltando l’album, si percepisce.
Tra tante pregevoli canzoni, spicca “Starry Night”, un brano davvero meraviglioso. Quando l’hai scritto?
Ho scritto tutte le canzoni di “Carolina” nei due anni che hanno preceduto le registrazioni. Avevo idee per un centinaio di canzoni, prima di registrare ho portato avanti le quindici che mi sembravano funzionare meglio per l’album che avevo in mente. Ne abbiamo registrate dodici, ne abbiamo eliminate due, e alla fine è venuta fuori la tracklist definitiva con dieci brani. “Starry Night” è una canzone sull’amore e sull’infedeltà, ma anche sul potere della devozione.
Com’è nata invece “Battle Of Saratoga”, storia di un’allucinazione durante una tempesta di neve?
Durante il tour dell’anno scorso nello Stato di New York, facemmo un concerto in un piccolo paese chiamato Kingston. Ci fu una tempesta di neve e per un po’ tememmo di non poter più ripartire. Poi la nevicata si fermò e andò tutto bene, ma quell’esperienza si è fissata nella mia testa ed è finita in “Battle Of Saratoga”. Il protagonista della canzone è un musicista jazz eroinomane degli anni Sessanta che tiene un concerto a Kingston il giorno di Natale. A causa di una tempesta di neve rimane intrappolato nella cittadina senza alcuna possibilità di procurarsi la droga. Si ritira nella sua stanza d’albergo e inizia ad avere allucinazioni fino a credere di essere un soldato durante la guerra d’indipendenza.
Le tue canzoni sono emozionali ma, allo stesso tempo, geometriche. Qual è il segreto di questo equilibrio tra ragione e sentimento?
Non saprei. Mi limito a scrivere le canzoni cercando di essere me stesso. Se riflettessi troppo sul processo di scrittura, probabilmente non riuscirei a portarlo a termine. Quando scrivo cerco soltanto di essere fedele a me stesso e non mi preoccupo di avere alcun programma o obiettivo che non sia quello di scrivere canzoni sempre migliori.
E ti capita mai di riflettere sull’intimità che si crea tra le tue canzoni e chi ascolta?
Direi di no, non mi sono mai preoccupato veramente di creare un’atmosfera o far vivere a chi ascolta un’esperienza particolare. Tutto quello che faccio è scrivere canzoni e sperare che alle persone piacciano. Adoro i miei fan, loro sono il motivo del mio andare avanti, sono ciò che mi ha dato la forza di proseguire questo viaggio per vent’anni. Spero che chi ascolta gli Spain, a sua volta, si senta parte del mio stesso viaggio.
Cos’è la malinconia per te?
La copertina del primo album degli Spain!
Che ruolo riveste l’improvvisazione nel tuo lavoro?
Be’, le mie canzoni dipendono molto dall’improvvisazione. Questo è ancora più vero quando suoniamo dal vivo.
Qual è stato il momento più bello di venti anni di carriera?
E’ una domanda troppo difficile. Posso dirti che ci sono stati tanti momenti da ricordare.
E il momento più difficile?
Il periodo negli anni Novanta quando non mi è stato permesso di registrare musica come Spain a causa di problematiche contrattuali con le case discografiche.
Cosa stai ascoltando in questo momento?
Qualche giorno fa abbiamo suonato a Berlino e lì ho incontrato Mark Ernestus. E’ stato uno dei due fondatori dell’etichetta Rhythm and Sound che ha influenzato molto la mia musica. Il giorno dopo il nostro concerto mi ha invitato nel suo studio, mi ha fatto ascoltare alcuni dei suoi nuovi brani e mi ha dato il suo ultimo album, “Mark Ernestus Presents Jeri-Jeri: 800% Ndagga”, che è ciò che sto ascoltando ora: un album incredibile!