Nick Cave and the Bad Seeds “Skeleton Tree”

Nick Cave and the Bad Seeds “Skeleton Tree”

Etichetta: Bad Seed LTD
Brani: Jesus Alone / Rings Of Saturn / Girl In Amber / Magneto / Anthrocene / I Need You / Distant Sky / Skeleton Tree

 

Nick Cave ha concepito il sedicesimo disco con i Bad Seeds, per gran parte, prima della tragica morte del figlio Arthur (che nel luglio del 2015 è caduto fatalmente da una scogliera a Brighton), ma naturalmente la tragedia ha marchiato in modo indelebile le nuove composizioni e ha condizionato il lavoro successivo, che si è svolto tra i La Frette Studios, in Francia, e gli AIR Studios di Londra.

Skeleton Tree descrive il vuoto pneumatico del dolore, il battito attutito della vita che continua. Portando all’estremo l’estetica di Push The Sky Away, Nick Cave trasforma l’assenza in un grave magma sonoro. I Bad Seeds sono relegati sullo sfondo, tranne Warren Ellis, che mescola, gonfia, spalma suono oleoso e nero, un petrolio soffocante che domina su tutto. Persino sulle liriche, che mettono da parte la poesia e si fanno spoglie, spettrali, recitate con una forza sorda.

Nella sua carriera, Cave ha sempre avuto bisogno di un braccio destro che accompagnasse le sue idee con intuizioni musicali dotate della stessa follia creativa. Nel ruolo di alter-ego musicale si sono alternati, negli anni, Mick Harvey e Blixa Bargeld. Da almeno un lustro c’è Ellis, che ha iniziato a collaborare con i Bad Seeds come violinista nel 1996 ma col tempo ha acquisito un ruolo sempre più centrale nella costruzione del suono della band. Come le tante colonne sonore che hanno firmato negli ultimi anni (da ricordare almeno The Road e Lawless), anche Skeleton Tree, più che un album di Nick Cave & the Bad Seeds, è un album di Nick Cave & Warren Ellis. Le chitarre sono quasi scomparse e con esse è rimasta spesso inutilizzata la batteria. In compenso, il disco è percorso da un lento fluire di archi e sintetizzatori, da ronzii che attraversano i brani come presenze ultraterrene.

Jesus Alone è il disturbante inizio di un’elaborazione impossibile, Ring Of Saturn la cristallizzazione di un abisso, Girl In Amber il claustrofobico abbraccio alla moglie Susie (“and if you want to bleed/just bleed/and if you want to bleed/don’t breathe a word”).

Anthrocene, fatta di immagini algide spalmate su un’elettronica urticante, si accerta dello stato emotivo dell’ascoltatore, prima del pugno nello stomaco, che arriva con la successiva I Need You, una canzone che sale dalla terra, pulsante e ripetitiva, il momento più toccante e anche il brano che contiene i versi più disarmanti del disco, che Cave scandisce con voce rotta (“nothing really matters/nothing really matters anymore/when the one you love is gone”). Subito dopo arrivano Distant Sky, sorprendente duetto con il soprano danese Else Torp, e soprattutto Skeleton Tree, title-track posta in chiusura, la traccia musicalmente meno interessante ma ultimo disperato tentativo di portare un bagliore in un disco che si nutre di solo buio. “It’s alright now” sono le parole che chiudono Skeleton Tree, ma è una pacificazione illusoria se solo un attimo prima si prende atto che “nothing is for free”. E’ l’unico modo per Cave di fare i conti con l’assurda presa di coscienza che la morte, come la vita, semplicemente accade e noi non possiamo fare nulla e l’assurdo non ci ripara dal dolore.

Le tenebre hanno accompagnato la scrittura di Cave sin dagli esordi, la prematura perdita del padre quando lui aveva appena diciannove anni ha segnato in modo definitivo la sua vita e la sua arte. Il dolore e la morte sono stati affrontati in tutte le loro variazioni in quasi quarant’anni di canzoni. Eppure Skeleton Tree è un album talmente pesante che al suo confronto persino The Mercy Seat, la più grande canzone mai scritta sulla sedia elettrica, The Boatman’s Call, la più pessimistica riflessione sulla fine dell’amore, e Murder Ballads, disco interamente incentrato su storie di omicidi, sembrano immediatamente alleggerirsi nella memoria. 

 

 

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