“Solo chi osa ce la fa”: venti storie ispirate alla musica di Springsteen nel libro di Valerio Bruner

“Solo chi osa ce la fa”: venti storie ispirate alla musica di Springsteen nel libro di Valerio Bruner

Intervista all’autore di None But The Brave, ventidue racconti pubblicati da GM Press.

 

 

Non solamente racconti di ispirazione springsteeniana, le storie di None But The Brave sono istantanee su una periferia esistenziale prima ancora che geografica, su un’America dalla stessa profondità dell’abisso che i suoi abitanti si portano dentro. Romantici, perdenti, violenti, i personaggi di None But The Brave prendono forma dal canzoniere del Boss per poi inciampare in un’esistenza che nessuno ha mai imparato a vivere. Abbiamo incontrato l’autore, Valerio Bruner, scrittore, giornalista, autore teatrale e, ovviamente, grande appassionato della musica di Bruce Springsteen.

 

A quanto pare l’immaginario creato da Springsteen non smette di affascinare chi suona, chi scrive, chi fa cinema… Tu come sei arrivato a questi racconti ispirati alla poetica springsteeniana?

Ascoltando Springsteen, alcune canzoni in particolare mi spinsero a immaginare delle storie parallele, come se i loro protagonisti andassero oltre quei versi, intraprendendo una strada diversa, una blue highway, per dirla con le parole di Least Heat-Moon, aprendosi così a una serie di emozioni e sentimenti del tutto nuovi.

L’arte di Springsteen si è sempre mossa in quella dolorosa distanza che separa l’illusione e la disillusione del sogno americano. E’ la stessa distanza misurata nei racconti dai tuoi personaggi?

È quello che ho cercato di fare. Sin dai miei studi universitari, sono sempre stato attratto dall’altra faccia della medaglia del sogno americano: i suoi esclusi. Benjamin Franklin insegna che se ti rimbocchi le maniche e ti dai da fare una fetta di felicità è lì pronta che ti aspetta, eppure che cosa succede quando, nonostante lavori duro e ti spacchi la schiena, quella “pursuit of happiness” sembra condurre a un vicolo cieco? Sia nella narrativa che nella musica, ho sempre cercato di camminare nelle scarpe di chi lotta disperatamente per una seconda opportunità e dar loro voce. Inutile dire che ho trovato in Springsteen una grande fonte d’ispirazione.

Il libro è pieno di uomini dediti alla fuga, alla sconfitta, alla violenza, antieroi il cui sguardo è spesso rivolto ad un passato con cui è difficile fare i conti. Da dove arriva questa cupezza generale che tu hai il merito di non aver mai edulcorato?

Ogni personaggio è una proiezione, più o meno esasperata, del mio vissuto, di esperienze e accadimenti che mi hanno toccato in prima persona o riguardano persone con cui ho incrociato la strada. Le canzoni di Springsteen sono il punto di partenza, la scintilla, ma ogni racconto è un viaggio nell’animo umano, in quelle zone d’ombra che tutti nascondiamo segretamente e con cui, prima o poi, siamo chiamati a fare i conti: la paura del fallimento, i rimorsi e i rimpianti che ci lasciamo dietro, il senso di sconfitta e di inadeguatezza, ma anche le semplici gioie e le piccole vittorie di ogni giorno.

La cupezza del racconto si appoggia su una prosa scarna, ruvida. E’ stata una scelta stilistica fatta sin dall’inizio o, semplicemente, scrivendo queste storie ti sei reso conto che non potevano non essere scritte che così?

Ho sempre creduto che il compito dell’artista sia quello di “mostrare” e non “educare” il pubblico: l’arte, sia essa scrittura o musica, è come una fotografia, un quadro, in cui bastano pochi, semplici ma mirati tratti essenziali per lasciare poi a chi osserva il compito di coglierne sfumature e particolari. Ognuno secondo la propria sensibilità.

Come mai hai scelto None But The Brave per il titolo?

Cercavo una canzone di Springsteen che facesse non solo da filo conduttore alle storie narrate nel libro, ma che servisse a me come “monito”, sprone ad andare avanti inseguendo i propri sogni, e mi sono reso conto che “solo chi osa” prima o poi, in un modo o nell’altro, ce la fa, o quantomeno ci prova.

C’è un album di Springsteen che ti ha ispirato più di altri?

Per ogni racconto ho ripercorso tutta la discografia springsteeniana, ma la maggior parte delle storie affonda le proprie radici nella triade Darkness On The Edge Of Town, The River, Nebraska: in ognuno di questi album ci sono quei “fantasmi” e quelle “zone d’ombra” che volevo mettere nero su bianco. Ogni canzone è pervasa da una profonda ricerca del senso della vita, un senso che va ricercato nell’amore, nell’amicizia, ma anche nel dolore, nella morte e nel peccato. Era questo il campo di battaglia sul quale volevo misurarmi.

Il tuo libro è un perfetto esempio di come musica e letteratura si influenzino a vicenda. Come è nato il tuo amore per la musica? E quello per la letteratura? Come si sono mescolati?

Ho iniziato a suonare la chitarra dalle suore, con Fra’ Martino Campanaro me la cavavo piuttosto bene. Ho sempre sentito la necessità, l’urgenza, di narrare delle storie: alcune sotto forma di canzone, quando la melodia che mi frulla in testa diventa carne e sangue, altre sotto forma di narrativa, quando cerco disperatamente di mettere nero su bianco il bisogno viscerale di dare corpo alle mie sensazioni, emozioni, immaginazioni. A volte sono nati dei racconti dalle canzoni, come nel caso di questo libro, altre delle canzoni dai racconti, come nel caso di “Randy”. Ascolto tanta musica e leggo altrettanto: è davvero cibo per l’anima, senza retorica.

Pochi giorni è scomparso un maestro delle short stories, Sam Shepard. La sua scrittura è stata importante per te?

Conoscevo poco Sam Shepard scrittore, come attore l’ho ammirato. Lo sto riscoprendo adesso e trovo in lui, così come in Carver e in Flannery O’ Connor, quel genio di rendere una short story perfetta, completa e più incisiva di qualsivoglia romanzo.

Infine, puoi dire qualcosa sulle tavole che accompagnano i racconti?

Rappresentano il valore aggiunto del libro, opera di mio fratello Ivano. Suo è stato il genio, e il merito, di aver saputo cogliere in ogni storia un piccolo particolare e di trasformarlo in simbolo. Le tavole sono infatti collocate alla fine di ogni storia come chiosa, riassunto: ogni disegno si sofferma su un particolare e da questo si espande fino a diventare esso stesso una storia da raccontare.

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