TUTTE LE OPERE DEL MAM E LA LORO STORIA – 2
di Piernicola Cocchiaro
San Benedetto del Tronto, 2018-10-09– Postiamo in ordine cronologico, le schede contenenti le foto di tutte le opere presenti nel MAM e realizzate ogni anno a partire dal 1996.
In aggiunta, chi volesse, puo’ leggere di seguito, la storia dell’edizione a cui esse si riferiscono.
Le foto sono tratte dal catalogo del Festival dell’Arte sul Mare 2018, realizzato da Fabrizio Mariani, mentre la storia e’ tratta dal libro “Cercavo proprio te” di Piernicola Cocchiaro.
SCULTURA VIVA 1997
L’ANNO DI MINAMOTO
La seconda edizione, che si tenne dal 22 al 29 giugno del 1997, fu quella che in qualche modo internazionalizzò “Scultura Viva”. Il direttore artistico Carlo Melloni, infatti, oltre ad invitare quattro artisti italiani, Pier Augusto Donati, Gabriele Perugini, Franca Frittelli e il giovane Claudio Michetti, della vicina Acquasanta, quell’anno invitò quattro artisti stranieri, la coreana Choi Keum-Hwa, il giapponese Toshihiko Minamoto, la francese Yann Liebard e l’argentino Federico Brook.
Degli italiani, gli scultori più affermati erano Pier Augusto Donati, famoso per le sue opere figurative, che realizzò un delicato bassorilievo che rappresentava una sirena e Gabriele Perugini, originario delle Marche, ma residente in Toscana, che scolpì un’interessante sequenza geometrica di gocce d’acqua stilizzate che si ripetevano su tre file, seguendo un ordine di rifinitura che partiva dall’alto.
L’argentino Federico Brook per me fu invece alquanto deludente, perchè nonostante la sua fama, grazie alla quale aveva partecipato anche alla Biennale di Venezia, si limitò a realizzare una sorta di graffito molto semplice, che tra l’altro terminò in pochissimo tempo, togliendo quindi alla gente la possibilità di viverne tutte le fasi realizzative. Fu invece più interessantela scultura della francese Yann Liebard che scolpì una sfera incastonata in uno spazio cubico ricavato al centro della parte frontale superiore del blocco di travertino.
Anche quella di Michetti fu un’opera interessante soprattutto per il suo dinamismo ottenuto giocando con volumi astratti stilizzati che volevano rappresentare il moto di un’onda.
Franca Frittelli capì da sola che la sua scultura sarebbe potuta essere meglio, tant’è che ad opera quasi ultimata mi confidò di aver capito che io non ero molto entusiasta della suo lavoro, ammettendo candidamente che lei faceva comunque cose senz’altro migliori.
Un’opera molto apprezzata dal pubblico fu invece quella della coreana Choi Keum-Hwa, che rappresentava un personaggio quasi a tutto tondo, appeso per i piedi ad una sottile barra anch’essa fatta di travertino. Dal bozzetto che lei mi inviò per il catalogo, non avevo capito che la barra fosse staccata di circa quattro centimetri dal fondo e quando vidi quello che Choi stava facendo, provai a dirle che l’asta era troppo fragile e che qualcuno avrebbe potuto avere la voglia di romperla, ma preferii lasciar perdere, confidando nel fatto che non si capiva che fosse staccata.
Purtroppo bisogna sempre temere il peggio, perchè i vandali solitamente agiscono sulle cose fragili, quasi queste fossero un invito a vandalizzare e non resistono quasi mai alla tentazione di romperle. Quando la cosa è invece più difficile lasciano perdere, solo raramente si armano di mazza per distruggere, ma questo lo vedremo purtroppo più avanti.
Delle opere di quell’anno, quella comunque più apprezzata in assoluto dal pubblico fu la scultura del giapponese Toshihiko Minamoto. Toshihiko era minuto, un pò come tutti i giapponesi, aveva però uno sguardo penetrante nonostante i suoi piccoli occhi e la cosa che mi colpì di più fu che pur conoscendo l’italiano in quanto residente a Roma, parlava pochissimo o meglio, quasi per niente. Non legò molto con gli altri artisti, anzi era sempre solo e sempre al lavoro, mentre gli altri era facile vederli in gruppo a farsi i complimenti l’un l’altro.
Presto capii che Toshihiko era uno stakanovista. A lui interessava solo il lavoro e quando qualcuno dei passanti si fermava di fronte alla sua scultura mentre lui lavorava, sperando di intrecciare con lui una sorta di dialogo, egli nemmeno si girava, un pò perchè non gradiva e un pò perchè non se ne accorgeva, a causa dei tappi antirumore gialli che aveva perennemente nelle orecchie. Solo una volta mi capitò di vederlo sospendere il lavoro e parlare con qualcuno ed esattamente quando Carlo Melloni venne a salutare gli artisti con il suo cappello di panama chiaro.
Spesso Toshihiko non tornava nemmeno a fare pranzo in albergo, preferiva mangiare un panino sul posto, ma lì aveva ragione, perchè anche quell’anno, come quello precedente, l’albergo che li ospitava era l’Hotel La Perla di Cupramarittima, distante dal molo sud una decina di chilometri e tornarci per pranzo significava perdere almeno due ore.
Dopo un paio di giorni di lavoro continuo, passati a tagliare sottili fette di travertino con la mola, il terzo giorno, con sapienti colpi di mazza, Toshihiko svuotò letteralmente il blocco, ricavando una superficie semisferica concava per tutta la sua larghezza ed altezza, ma lasciando al centro, in primo piano e ad una distanza di circa 40 centimetri dal fondo, una sorta di colonna appena sbozzata. L’opera sembrava quasi un’antenna parabolica in quella fase dei lavori, ma pian piano le forme, ancora confuse, incominciarono a divenire sempre più nette, decise, rivelando gradualmente un’armonia di cui solo gli artisti asiatici sono capaci.
Stava nascendo “Kore”, una delle più belle sculture delle 141 realizzate nelle 19 edizioni di Scultura Viva e contenute nel “MAM, Museo d’Arte sul Mare”, come oggi si chiama il molo sud.
Toshihiko continuò a tagliare e scalpellare il suo blocco per un altro paio di giorni, senza mai allontanarsi da esso se non per verificarne le proporzioni.
Nei giorni, il gruppo dei curiosi crebbe, ma nessuno osava interrompere Minamoto, un pò per timore reverenziale, vista la severità che aleggiava nell’aria intorno a lui e alla sua opera e un pò perchè sapevano che avrebbero ricevuto solo monosillabe in risposta alle loro domande. I tanti fotografi, invece, non intimoriti dalla sua personalità, continuavano a fotografarlo mentre era al lavoro, ma lui non se ne curava, quasi non esistessero.
Quell’anno indubbiamente fu il suo, fu l’anno di Minamoto e quella sua splendida opera fu il passaporto per il suo futuro ritorno a San Benedetto e per il salto di qualità di “Scultura Viva”. Continua