Salute / Alzheimer / Dalla Toscana al Piemonte l’Italia sperimenta l’infermiere di famiglia, la figura strategica per salvare i bilanci di ospedali e famiglie curando gratis a casa il previsto tsunami di 8 milioni di anziani malati gravi
Uno tsunami di over65 malati cronici gravi ci investirà da qui a 10 anni e anche l’Italia sta creando perciò una nuova figura strategica per assisterli a casa. Vari test dal Piemonte alla Toscana, ma tanti problemi irrisolti. Bilancio al Congresso sui Centri Diurni Alzheimer
Pistoia – I dati, nudi e crudi, sono questi, parola dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms): con l’invecchiamento della popolazione nei 10 anni a venire sono previsti in Italia 8 milioni di anziani disabili e malati cronici gravi, Alzheimer inclusi. Non solo. Sempre tra 10 anni vivranno da soli 4,5 milioni di over65, di cui 1,2 milioni con più di 85 anni. E’ più o meno così in tutta Europa e in America. Uno tsunami di patologie da vecchiaia sta inondando il crepuscolo dell’Occidente.
“La figura dell’infermiere di famiglia raccomandata dall’Oms è dunque strategica e ormai ineludibile”, dice l’epidemiologo Giuseppe Salamina, coordinatore del progetto europeo CoNSENSo (Community Nurse Supporting Elderly iN a changing Society), “occorre creare una rete specializzata di assistenza a domicilio a carico del Servizio Sanitario sia per risparmiare sui debordanti costi ospedalieri che per sottrarre le famiglie al peso spesso insopportabile di un caregiver privato. Basti pensare che nel solo 2016 tutto ciò è costato € 15 miliardi, 3,5 dei quali a carico dei famigliari”. In molte regione italiane si stanno perciò sviluppando iniziative più o meno sperimentali. La più interessante, coordinata dal dottor Salamina per conto dalla ASL di Torino, è appunto quella delprogetto CoNSENSo che nell’Area Alpina ha coinvolto Piemonte come capofila, Liguria, Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Carinzia e Slovenia, con la sperimentazione del ruolo dell’infermiere di famiglia nell’assistenza ad anziani e famiglie in aree rurali e montane particolarmente disagiate. Si tratta di operatori con specifiche competenze nel lavoro di comunità, di integrazione tra i diversi servizi, di promozione della salute e diempowerment comunitario.
Un’esperienza di assoluto valore presa subito a modello per analoghe iniziative da dodici regioni, tra cui Lombardia, Liguria, Lazio e Campania. Il bilancio che su invito dell’Università di Firenze Salamina presenterà a Montecatini Terme in occasione del 10° Congresso nazionale sui Centri Diurni Alzheimer (1 e 2 marzo) servirà da confronto anche per le iniziative in corso in Toscana.
Di fatto l’infermiere di famiglia e comunità non esiste ancora, benché esistano i servizi domiciliari sviluppati dalle regioni che, per di più, coprono il fabbisogno solo a macchie di leopardo. Specifici master formativi sono però attivi in vari atenei: in Toscana l’università di Pisa nella sede distaccata di Lucca, in Piemonte a Torino e Novara, in Lombardia a Milano e Brescia, nelle Marche ad Ancona e altre ancora. I dati più recenti parlano di 5400 specialisti già masterizzati, mentre appunto si sta ancora discutendo sul modello formativo più efficace.
“La nostra idea”, spiega Salamina, “è stata di utilizzare una figura di infermiere formato sia come profilo tecnico, sia sotto l’aspetto relazionale con i pazienti. Ossia un operatore capace di prendersi cura di un gruppo predefinito di famiglie e di svolgere anche funzioni proattive lavorando a fianco di medici generalisti, con il volontariato, l’associazionismo, le parrocchie”.
In Toscana la Regione ha messo a fuoco altre specificità: non si tratta solo di sorvegliare l’assunzione dei farmaci e rilasciare prestazioni, ma anche di rapportarsi con gli stili di vita (alimentazione, attività fisica, ecc.), consigliare il paziente, seguirlo per poi confrontarsi con gli altri professionisti, costruendo in pratica un circuito e un progetto a misura della persona. Detto questo, tuttavia, non si sa ancora né se debba essere il bagaglio professionale di ogni infermiere, né quanti assistiti toccheranno a ciascuno.
In generale resta da risolvere anche il rapporto con i medici di base e con la loro funzione sul territorio. A parte il problema del diverso inquadramento contrattuale, tra collaborazione e conflitto corre difatti un filo sottile. Tutti, medici compresi, convengono però che l’infermiere di famiglia è una figura fondamentale. Per dirla con Salamina, “una task force strategica” nella battaglia contro il crepuscolo dell’Occidente richiestissima, tra l’altro, dalle stesse famiglie.