Contrordine, le sorgenti dell’Alzheimer sono altrove?

Contrordine, le sorgenti dell’Alzheimer sono altrove?

10° Convegno Nazionale sui Centri Diurni Alzheimer

Montecatini Terme, Teatro Verdi, 1 – 2 Marzo 2019

Malgrado i modesti risultati, gli studi sulla proteina Beta Amiloide assorbono in tutto il mondo gran parte delle risorse a svantaggio di altre ipotesi ritenute molto promettenti. E ora unanota studiosa apre il dibattito. Lo scopo? Ampliare l’orizzonte della ricerca

 

Perugia – Bersaglio sbagliato? Mentre l’Alzheimer miete sempre più vittime restando sì addomesticabile, ma drammaticamente inguaribile, l’inquieto mondo scientifico a caccia delle sorgenti della malattia si pone ormai apertamente due domande: 1) perché la ricerca sulla proteina Beta Amiloide continua ad assorbire la quasi totalità delle risorse malgrado i modesti risultati delle terapie anti-amiloide? 2) perché altre ipotesi logiche e promettenti sono lasciate ai margini, per esempio quelle sul mitocondrio, la centrale energetica delle cellule che quando in vecchiaia via via si spenge inguaia tutto l’organismo, cervello incluso?

E’ quanto si chiede un’affermata studiosa come Patrizia Mecocci, docente di Gerontologia e Geriatria all’Università di Perugia nonché direttrice del reparto di Geriatria del locale ospedale, che al Congresso sui Centri Diurni Alzheimer in programma (1 – 2 marzo) a Montecatini Terme presenterà appunto una relazione dal titolo più che esplicito (Oltre l’Amiloide).

“Siamo infatti sempre più convinti”, spiega, “che il processo distruttivo innescato dalla proteina Amiloide sulle sinapsi del cervello si collochi a valle di una degenerazione più generale dell’intero organismo nel corso dell’invecchiamento. E’ il primo fattore di rischio della malattia, causata dalla progressiva riduzione nella produzione di energia da parte dei mitocondri, per cui le cellule non riescono a mantenere la loro struttura e a riparare i danni che si accumulano nel tempo”.

L’Alzheimer, aggiunge, può in definitiva determinarsi per la somma di tanti piccoli danni cerebrali che scatenano a loro volta processi infiammatori cronici e accumulo di proteine tossiche. Peccato che a questo tipo di studi siano riservate scarse risorse, ancor meno in Italia dove gli investimenti per la ricerca sono inferiori agli altri Paesi europei.

Le difficoltà per i finanziamenti della ricerca sono noti e oggi, osserva la professoressa, gli scarsi successi delle terapia contro l’amiloide evidenziano la miopia di aver dato spazio a un’ipotesi divenuta dominante a scapito di una ricerca che dovrebbe essere ampia e a largo raggio. La stessa resa di alcune importanti aziende farmaceutiche, le Big Pharma, rappresenta oggi un problema molto serio di fronte all’avanzata impetuosa delle demenze in parallelo al progressivo invecchiamento della popolazione.

            Mecocci non è l’ultima arrivata. Vanta infatti prestigiose esperienze internazionali, in Svezia all’università di Lund a fianco del neurochimico Rolf Ekman, quindi negli Stati Uniti all’Università di Harvard con il professor Flint Beal con il quale ha portato avanti innovative ricerche sul ruolo dei mitocondri nell’invecchiamento cerebrale e nell’Alzheimer, dimostrando la presenza di danni alla base di quella progressiva perdita di forza energetica da cui si suppone derivi la crisi del nostro straordinario computer neuronale dove si producono memoria e identità. In proposito il Centro di Perugia da lei diretto ha partecipato e partecipa a numerosi progetti europei, come l’AddNeuroMed a il PredictND, volti alla ricerca di biomarcatori per la diagnosi precoce della demenza, ma anche alla cura dei malati e dei loro caregiver, come il progetto Memento per la gestione dei disturbi del comportamento.

            “Intendiamoci”, spiega ancora, “Studiare l’Amiloide e la sua azione tossica nel tessuto cerebrale è importante, ma io e molti altri ricercatori pensiamo che si tratti di una conseguenza e che la vera causa dell’Alzheimer stia appunto nei tanti piccoli danni cronici che accumulandosi nel cervello dell’anziano finiscono per innescare varie alchimie degenerative. Il problema, in sostanza, è di capire il ruolo centrale di questo processo dell’invecchiamento, che è inevitabilmente legato a una progressiva e generalizzata produzione di energia da parte dei mitocondri. Frenando questo processo si può dunque sperare di disinnescare i fattori alla base della malattia. E’ appunto quello che stiamo studiando”.

            Quanto ai farmaci oggi usati nel trattamento dei disturbi cognitivi non sono inutili. Anzi, sostiene la professoressa, sono più efficaci proprio nei soggetti più anziani. Dunque i medici farebbero bene a prescriverli: “Lo dico perché in ospedale riceviamo spesso pazienti in fase avanzata della malattia senza aver mai ricevuto indicazioni sulle possibili terapie farmacologiche. Li portano i familiari per avere la pensione di accompagnamento quando ormai il malato è troppo compromesso per avere un qualche beneficio”.

 

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