M. Ward “Migration Stories”

M. Ward “Migration Stories”

Etichetta: Anti-
Brani: Migration of Souls / Heaven’s Nail and Hammer / Coyote Mary’s Traveling Show / Independent Man / Stevens’ Snow Man / Unreal City / Real Silence / Along the Santa Fe Trail / Chamber Music / Torch / Rio Drone

 

Gli ultimi due album, More Rain (2016) e What A Wonderful Industry (2018), non erano stati all’altezza di una carriera fin lì esemplare, non perché fossero brutti lavori ma perché mostravano i primi chiari segni di stanchezza di un artista che è sempre stato maestro nel manipolare la canzone folk fino a trasformarla in una miscela originale ed esplosiva che contemplava digressioni nel pop, nel rock’n’roll, nell’indie. Migrations Stories rimette le cose al loro posto. Benché M. Ward rinunci ai suoi giochi di prestigio e l’intero lavoro si regga su un suono privo di orpelli, secco, diretto, è l’intero concept di Migration Stories a fare centro. Certo, non c’è nulla di particolarmente sorprendente – dopo dieci album è difficile sorprendere – ma una coerenza di fondo che dà forza a ciascuno degli undici nuovi episodi. Il cantautore di Portland utilizza racconti di migranti per i propri testi, presi dai giornali, raccolti per strada o appartenenti alla propria storia familiare, e riesce a commuovere con melodie lennoniane, come accade in Real Silence, ma anche con riluttanti e polverose poesie regalate al vento, come Heaven’s Nail and Hammer.
“Penso che inconsciamente la musica sia per me un filtro”, dice M. Ward, “che aiuta a trasformare tutte le brutte notizie che arrivano dal mondo in qualcosa di nuovo, qualcosa da cui ripartire”. Ecco, Migration Stories è un potenziale punto di ripartenza, per un’attualità disperata e assurda e per un’idea di folk che proprio ora merita di essere (ri)percorsa.

 

 

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