“Il fallimento fa parte del successo”, parola di Oliver Stone

“Il fallimento fa parte del successo”, parola di Oliver Stone

FERMO – Il grande regista Oliver Stone, autore di film immortali come “Platoon”, “Wall Street”, “Assassini nati”, “Ogni maledetta domenica”, è stato protagonista di una speciale serata presso la meravigliosa Villa Vitali di Fermo per presentare l’autobiografia appena pubblicata in Italia da La Nave di Teseo, “Cercando la luce”. Si tratta della storia di un uomo che ha attraversato l’abisso ma alla fine ha realizzato il suo sogno. E’ una storia che ha a che fare con la guerra, con la droga, con le menzogne, con i mille espedienti necessari a realizzare un film quando hai pochi dollari in tasca e nessuno che crede in te, una storia che parla di ostinazione, di vittorie e di fallimenti. Proprio failure (fallimento) è una delle parole più usate dal regista americano davanti alla platea di Villa Vitali. Di seguito alcune delle dichiarazioni che si sono fissate sul taccuino del cronista.

Il fallimento è importante tanto quanto il successo, anzi il fallimento fa parte del successo. Il fallimento fa parte della vita.

 

Tornato dal Vietnam, mi sono iscritto alla New York University per studiare cinema, volevo scrivere e dirigere film, ero ambizioso, volevo fare entrambe le cose. Scrivere e dirigere contemporaneamente è l’unico modo per controllare completamente un film. Mio padre mi incoraggiava molto a scrivere, l’amore per la scrittura lo devo a lui.

 

A trent’anni ero terribilmente depresso, ero in un periodo nero e nel profondo della mia depressione scrivevo sceneggiature e cercavo di migliorarmi. Mia nonna morì e sul punto di morte mi disse di non mollare, di andare avanti. Quell’anno scrissi la sceneggiatura di “Platoon”. Era il 1976, dieci anni prima che riuscissi a fare il film.

 

In quel periodo Hollywood non era pronta per un film come “Platoon”. Sul Vietnam venivano fatti solamente film fasulli, tipo quelli con Chuck Norris.

 

Dopo “Platoon” ho scritto la sceneggiatura di “Fuga di mezzanotte”, un piccolo film che però ha avuto molto successo e da lì sono iniziate le montagne russe della mia vita. Successo e fallimento si sono alternati sempre nella mia vita. La mia sceneggiatura di “Fugo di mezzanotte” ha vinto l’Oscar! Subito dopo ho scritto e diretto un film “La mano”, un horror con Michael Caine, che non ha avuto assolutamente alcun successo, è stato un flop totale.

 

Ogni film ha la sua storia e, anche nel caso di un fallimento, c’è molto da imparare, se hai voglia e intelligenza per capire perché hai fallito.

 

Dopo il fallimento de “La mano” ero di nuovo profondamente infelice. Stavo toccando di nuovo il fondo. Lì incontrai un amico folle, Richard Boyle, che era stato in Salvador e mi ha raccontato la sua storia e la storia della guerra civile in quel Paese. Decisi di fare “Salvador” e il film piacque molto. Girai con quel pazzo di James Woods come protagonista che offrì un’interpretazione memorabile e meritava l’Oscar. Il successo di “Salvador” mi permise di andare nelle Filippine con sei milioni di dollari per girare “Platoon”.

 

Platoon” era diverso da qualsiasi altro film sul Vietnam fosse stato fatto. Nessuno credeva in “Platoon” ci furono reazioni incredibili, prima in America e poi in tutto il mondo. Alla fine del film non c’erano applausi, ma la gente usciva dalla sala piangendo.

 

Fu un successo enorme. Vinsi l’Oscar per il miglior film e la miglior regia. Ricevetti il premio da Liz Taylor, che era la mia preferita quando ero un bambino. Ho baciato Liz Taylor!

 

Avevo quarant’anni, ero all’apice, avevo una moglie e un figlio. Avevo vinto degli Oscar.
Ho deciso di chiudere a questo punto il mio libro. Ci sono i miei primi quarant’anni e il mio sogno realizzato.

 

Quando realizzi un sogno la tua vita cambia. Avrei potuto congelare la mia vita ma non ho voluto fermarmi, per questo subito dopo “Platoon” mi sono buttato nel progetto di “Wall Street”. Non mi piace fermarmi. E’ una questione di fuoco interno, o ce l’hai o non ce l’hai, e se ce l’hai non puoi fermarti. Anche perché la scrittura per me è un importantissimo esercizio, qualcosa che devo fare tutti i giorni, come uno sport. Io scrivo tutti i giorni, sei giorni alla settimana. E’ un modo per costruirsi una coscienza. Non posso distrarmi, altrimenti perdo il ritmo.

 

Il consiglio che darei ad un giovane sceneggiatore è di scrivere di getto, di non perdere cinque anni per scrivere il copione di un film che magari non verrà mai fatto, ma di andare avanti, come disse mia nonna, andare avanti.

 

I miei genitori erano divorziati e il figlio di un divorzio rimane per la vita intrappolato nella ricerca della verità o di una verità. Io la cerco attraverso la scrittura.

 

Ho cercato la verità sulla guerra, ho cercato di capire il mio Paese, ho cercato di capire i motivi che c’erano dietro la morte di Kennedy e ho scritto dei film.

 

Sono andato in Vietnam come volontario, avevo ventun anni. I governi mandano i giovani a combattere perché i giovani impiegano un po’ più tempo per capire. Hanno bisogno di un po’ di tempo per elaborare e inquadrare tutto concretamente. Io ho cominciato a ripensare concretamente al Vietnam otto anni dopo essere tornato, scrivendo “Platoon”. Ho fatto anche altri due film sul Vietnam, “Nato il 4 luglio” e “Tra cielo e terra” e ognuno ha richiesto una profonda elaborazione.

 

L’America ha fatto cose terribili in Vietnam, ha mentito spudoratamente su tutto. Anche per quanto riguarda l’Iraq, l’Afghanistan… ci hanno raccontato un sacco di bugie, ed è per questo che io non credo assolutamente alla storia ufficiale e cerco una mia verità. Ma il Vietnam… il Vietnam è stato la grande bugia.

 

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