dall’UniUrb

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I traguardi dello studio in carcere continuano

  • Due nuovi laureati del Polo Universitario Penitenziario Regionale dell’Università di Urbino nella Casa di Reclusione di Fossombrone –

Grande emozione, nei giorni scorsi, alla Casa di Reclusione di Fossombrone per due nuove lauree di due studenti del Polo Universitario, attivato dal 2015 e che vede a oggi iscritti 20 studenti a 10 corsi di laurea differenti.

A poco più di un anno dal primo laureato, altri due studenti hanno concluso il percorso triennale, conseguendo, con 110 e lode, il titolo in Informazione Media Pubblicità.

La commissione di laurea presieduta dalla professoressa Gea Ducci e dai docenti Anna Tonelli, Lorenzo Giannini, Guido Capanna Piscé, Carlo Magnani e Franco Elisei, ha ascoltato la discussione delle due tesi dal titolo: “La marca: un sogno per dare un senso” e “Un maestro di giornalismo nel mondo del calcio: Giovanni Luigi Brera”.

La seduta di tesi ha risentito del periodo di emergenza in corso e si è svolta in modalità online nella biblioteca del carcere, alla presenza della Tutor del Polo, Dott.ssa Vittoria Terni de Gregory, dell’educatrice Dott.ssa Angela Rutigliano e del personale della Polizia Penitenziaria.

Docenti e collaboratrici del Polo hanno fatto comunque sentire il loro sostegno ai laureandi assistendo in remoto alla discussione: tra di loro la Coordinatrice del Polo, professoressa Daniela Pajardi, i docenti Rowena Coles, Paolo Stauder, Massimo Russo, e le collaboratrici che hanno lavorato in questi anni nel servizio di tutorato Silvia Lecce, Mara Cirimbilli e Viola Ceregini. Anche i familiari hanno potuto collegarsi e seguire i laureandi in questo momento così importante, che ha un così profondo significato di cambiamento e di impegno.

Questo progetto si conferma di grande valore” ha affermato la professoressa Tonelli “che va avanti grazie ad un lavoro reciproco tra l’impegno degli studenti e la collaborazione dei docenti, delle tutor, della Direzione, dell’Area Trattamentale e della Comandante del carcere. I due laureati di oggi, tra i primi ad essersi iscritti al Polo Universitario, hanno mostrato grande forza e tenacia fino a raggiungere questo traguardo”.

Come sottolinea la professoressa Pajardi, “si tratta di un traguardo culturale ma soprattutto personale, visto che loro, come molti detenuti hanno proprio iniziato a studiare in carcere, alcuni dalle medie altri dalle superiori. Lo studio universitario è vissuto spesso come qualcosa di troppo complesso e difficile, mentre con l’impegno e il supporto, ma soprattutto con una grande motivazione a mettersi in gioco, sono riusciti a concludere il percorso e già sono orientati a proseguire con la magistrale”.

Dopo la proclamazione, i neodottori hanno voluto ringraziare chi li sostenuti in questo percorso e le loro parole sono state di sincera e commossa gratitudine per chi ha creduto in loro e li ha incontrati come persone e come studenti a prescindere dalle sbarre alle finestre dell’aula del Polo in carcere. “Conseguire una tesi in carcere è una tripla vittoria” ha dichiarato uno dei laureati “per le istituzioni coinvolte, per la cultura, per il detenuto e per il suo gruppo familiare”.

 

 

Scoperte emissioni di composti pericolosi per il buco dell’ozono

Un articolo pubblicato su PNAS rileva per la prima volta tre composti ozono-distruttori proibiti dal Protocollo di Montreal, grazie ai dati prodotti da una rete globale di 15 stazioni di cui fa parte l’Osservatorio climatico O. Vittori sul Monte Cimone, gestito dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr. L’aumento delle concentrazioni è dovuto a emissioni industriali in Asia orientale di tipo non intenzionale, ancora non regolamentate

A poco più di trent’anni dalla sua entrata in vigore, il Protocollo di Montreal per la protezione dell’ozono stratosferico, che limita la produzione e l’uso di gas ozono-distruttori, è considerato uno dei maggiori successi della cooperazione internazionale, data l’ampia adesione. Ben 197 paesi hanno ratificato il trattato, impegnandosi a drastiche limitazioni nella produzione e nell’uso di questi composti. Tuttavia, risulta fondamentale riuscire a controllare il rispetto degli accordi. Misurare in continuo i livelli di questi gas in atmosfera è uno degli strumenti disponibili per questo controllo, implementato attraverso la messa in rete di osservatori che, sotto l’egida del WMO (l’Organizzazione mondiale della meteorologia), misurano in tutto il mondo e da molti anni i livelli atmosferici dei composti dannosi per l’ozono. Tra le stazioni che fanno parte delle reti di misura globali c’è l’Osservatorio climatico Ottavio Vittori, posto sulla vetta del Monte Cimone e gestito dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) in collaborazione con l’Aeronautica militare. Sul Cimone, grazie alla collaborazione con l’Università di Urbino, da 20 anni si misurano, tra gli altri, i gas responsabili del “buco” nell’ozono stratosferico.

In un articolo appena pubblicato sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America) si riportano i risultati di uno studio condotto grazie a una collaborazione internazionale tra ricercatori di tutto il globo tra cui Jgor Arduini e Michela Maione dell’Università di Urbino, associati Cnr-Isac, in cui per la prima volta si rileva la crescita dei livelli atmosferici globali di tre idroclorofluorocarburi ozono-distruttori, la cui produzione ed uso sono proibiti dal Protocollo di Montreal. “La messa in rete delle misure globali e la relativa analisi modellistica hanno permesso di identificare quale sia la regione del globo maggiormente responsabile delle emissioni: l’Asia orientale, dove i composti sono emessi come intermedi di produzione dell’industria dei fluorocarburi”, spiega Maione. “Questo studio dimostra la necessità di introdurre nel Protocollo di Montreal emendamenti che regolino le emissioni non intenzionali, che al momento non sono previsti”.

Lo studio conferma l’utilità di queste ricerche nel controllo del rispetto degli accordi internazionali. “Nel 2018 i ricercatori della NOAA statunitense avevano appurato una violazione del Protocollo di Montreal da parte della Cina, dove è stata poi accertata la presenza di impianti industriali che dal 2013 producevano illegalmente CFC-11, un composto utilizzato per la creazione di schiume poliuretaniche fortemente dannoso per l’ozono”, conclude la ricercatrice di Uniurb e Cnr-Isac. “Questa rivelazione ha portato il governo cinese a prendere provvedimenti immediati che hanno dato dei frutti, come dimostrano due articoli appena pubblicati su Nature (https://www.nature.com/articles/s41586-021-03277-w): le emissioni di CFC-11 dalla Cina orientale sono tornate a diminuire, con conseguente limitazione dei potenziali danni all’ozono stratosferico”.

Roma, 18 febbraio 2021

La scheda

Chi: Cnr-Isac, Uniurb

Che cosa: Unexpected nascent atmospheric emissions of three ozone-depleting hydrochlorofluorocarbons, PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), February 2, 2021 118 (5) e2010914118; https://doi.org/10.1073/pnas.2010914118

 

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