“Psychodonna” è l’esordio solista di Rachele Bastreghi: l’intervista

“Psychodonna” è l’esordio solista di Rachele Bastreghi: l’intervista

Rachele Bastreghi dei Baustelle, libera dalle dinamiche di gruppo, si mette a nudo senza strategie, cercando un possibile percorso all’interno del suo vissuto e del suo inconscio, traducendo in musica demoni, fantasmi e diversi modi di essere donna. Il risultato è “Psychodonna”, un disco in cui si alternano drammi interiori e balli sfrenati, in uno strano equilibrio tra personale e collettivo, un diario intimo ma tutt’altro che solitario, con tantissimi invitati – musicisti di grande prestigio come Mario Conte, Lorenzo Colapesce, Roberto Dellera, Fabio Rondanini e voci amiche come quelle di Meg, Chiara Mastroianni, Silvia Calderoni. E’ anche un disco molto letterario che, almeno in alcuni frangenti, sembra prestarsi ad essere sfogliato oltre che ascoltato, con la voce della poetessa Anne Sexton (a cui Rachele è legata, tra l’altro, da una curiosa somiglianza) che declama i suoi versi nel brano di chiusura.

 

La tua personalità non era mai emersa così limpidamente come nelle canzoni di “Psychodonna”: ti senti a tuo agio nell’esserti mostrata in modo così imprudente?
Quando lavori ad un progetto condiviso con altre persone, scrivi e componi la tua musica e poi la metti a disposizione del gruppo, mischiandola, amalgamandola con quella degli altri. Mischi e unisci gli ingredienti sonori, i colori, i mondi, le visioni. E’ una miscela proporzionata ed equilibrata di diverse personalità. In questo caso, invece, quel cocktail si sbilancia naturalmente verso un solo ingrediente. E’ il suo bello. E’ normale e anche necessario che in un disco tutto mio ci sia un intenso approfondimento che riguarda la mia sola personalità, la mia formazione musicale, la mia identità di musicista, autrice e cantante. Ho esplorato e messo in movimento tutte le mie conoscenze, le mie passioni, le mie influenze, le mie diversità, i miei limiti e i miei bisogni. Sono diventata la mia band. E’ vero anche che questo disco non è un momento di liberazione dai Baustelle, anzi, molti fan ci troveranno delle cose che ho sempre portato nel gruppo e anche cose che il gruppo ha dato a me in un’esperienza che dura da più di venti anni.
Ho scritto “Pshychodonna” per completare una mia urgenza espressiva. Mi sono messa a nudo, uscendo dalla mia confort zone, perché sentivo forte il bisogno di dare uno spazio più profondo alla mia voce e alla mia creatività. Probabilmente era una cosa che volevo fare da sempre ma non mi sentivo pronta. Ho aspettato di crescere, umanamente e professionalmente, di avere la consapevolezza e gli strumenti per fare il disco che mi rispecchiasse completamente. Volevo acquisire una padronanza per poi spingere l’acceleratore. L’ho fatto nell’unico modo che conosco e in cui credo, essere fedele a me stessa, nella gioia e nel dolore, chiudendo gli occhi contro la paura e liberandomi da trappole e armature.

“Psychodonna” è un disco molto personale che, allo stesso tempo, colpisce per la coralità che lo contraddistingue, soprattutto per i tanti ospiti che hai coinvolto. Cosa ti ha spinto a cercare altre voci per raccontare la tua storia?
“Psychodonna” è un disco-concept sull’anima femminile, che ne mette in luce le tante sfaccettature, i contrasti, le contraddizioni. E’ come una raccolta di fotografie in chiaroscuro che immortalano le diverse possibili gradazioni di colore, i sentimenti, le emozioni, gli stati d’animo, le riflessioni, la presa di coscienza. Il delirio e l’umanità. E’ nata così, in modo spontaneo, la voglia di dare spazio vocale alle sole voci femminili. Ogni collaborazione è voluta e pensata. Subito dopo aver scritto i brani ho pensato esattamente a loro, ispirata dalla musica ho immaginato quelle precise collaborazioni. Sono donne e artiste in cui mi riconosco che hanno aggiunto bellezza e verità.  Probabilmente, se non avessero accettato, avrei cantato io le parti, non avrei cercato alternative. Però un racconto femminile, scritto con sincerità, parla anche della sua parte maschile, quindi parla anche agli uomini. In senso polisemico, ho scritto anche per loro. Da qui, il desiderio di coinvolgere i miei amici musicisti, che ho diretto nelle parti musicali.

Il tuo metterti a nudo non è andato di pari passo col mettere a nudo anche la musica, che invece è molto rigogliosa. Complimenti, a proposito, per il lavoro fatto in fase di produzione insieme a Mario Conte. Avevi già in mente prima di iniziare a lavorare al disco un suono così pieno? Ritengo sia una scelta piuttosto coraggiosa e anomala rispetto a ciò che accade di solito, e cioè che ad un disco molto intimista dal punto di vista dei temi si finisca per dare una vesta intimista anche dal punto di vista dei suoni.
Ti ringrazio per i complimenti e li riferirò a Mario (ride, ndr). Da sempre scrivo canzoni partendo dalla musica. È il linguaggio che mi dà più libertà. In genere, inizio dal pianoforte per poi costruire il mio castello sonoro, gioco e sperimento con strumenti elettrici e acustici, synth, batterie, chitarre, archi, campioni, loop. Mi perdo nell’esplorare le infinite possibilità e tendo a riempire, a stratificare. Mi piacciono gli incastri armonici e soprattutto mi piacciono i contrasti, creare suggestioni e cambi di intensità, accostare i momenti rumorosi fatti di potenza e distorsione con atmosfere struggenti e melodiche utilizzando archi e tappeti elettronici. Credo sia la mia caratteristica naturale, il tradurre in musica i miei aspetti diversi e contrastanti. Quindi, per rispondere alla tua domanda, sì, sapevo che avrei fatto un disco intimista e composto la sua colonna sonora.

Si nota in molti pezzi una ricerca – anche disperata – della luce, ma il tono generale è parecchio dark. Consideri “Psychodonna” un disco pessimista?
Ha sicuramente un sapore dark. È un disco che nasce in acque profonde, ma dai fondali cerca il sole. È un viaggio introspettivo, faticoso perché molto intimo, a volte spietato ma con uno slancio positivo e speranzoso. C’è il bisogno di guardare in faccia maschere e forzature, di attraversare i tormenti e le paure e di trovare il modo per stare bene. C’è un’urgenza espressiva e creativa e tanta voglia di sperimentare.

Alcuni brani mi hanno colpito in modo particolare e mi piacerebbe soffermarmi con te su di essi. Intanto Come Harry Stanton, un pezzo molto cinematografico con la sua eco morriconiana e il suo ricordo dell’attore feticcio di David Lynch. Come è nato questo brano e che momento rappresenta nel percorso di conoscenza di sé di “Psychodonna”?
Mentre scrivevo la musica di quel brano ho visto “Lucky”, l’ultimo film in cui Harry Dean Stanton ha recitato, prima della sua morte. Quel suo personaggio solitario e riflessivo, quel viaggio alla scoperta di sé stesso, quel deserto e quel cappello, quella sigaretta, quel suo essere insofferente alle regole e fedele alle sue abitudini… lì ho rivisto me stessa mentre cerco di scrivere la mia canzone, mentre cerco il silenzio per poi fare rumore, mentre viaggio tra i ricordi che fanno male. La mia notte è il suo deserto, un luogo di pace in cui perdersi, per poi rinascere.

A colpire immediatamente è anche Poi mi tiro su, che è un brano veramente potente nel descrivere certe deflessioni dell’umore e non solo.
È il primo brano che ho scritto e quello che ha dato il via a tutto il lavoro. È la fotografia consapevole e matura di un momento critico, di un gioco di cedimenti e riprese, di fasi up and down, un’analisi precisa di una lotta interiore che vede nella bellezza e nella sua fragilità la forza per risalire.

Come mai tra le fonti di ispirazione dell’album ci sono poetesse come Anne Sexton, Sylvia Plath e Alda Merini?
Mentre scrivevo il disco mi sono immersa nella vita e nelle opere di scrittrici e poetesse in qualche modo rivoluzionarie, libere, ribelli, controcorrente, fragili e combattive. Donne che hanno lottato contro i propri demoni e contro una società che le voleva sottomesse e nell’ombra. Donne che hanno avuto il bisogno di raccontarsi e di essere autentiche. Mi hanno ispirata e mi hanno trasmesso il coraggio di credere in quello che stavo facendo. Inserendo la voce di Anne Sexton, come intro di Resistenze, ho voluto omaggiare le donne e la loro battaglia.

“Psychodonna” è un album che chiede uno sforzo in più al tuo e al vostro pubblico. Penso ai primi album dei Baustelle che possono essere apprezzati anche da un pubblico adolescenziale, mentre i vostri ultimi lavori come band e poi il disco solista di Francesco Bianconi e questo tuo nuovo lavoro posseggono e richiedono una diversa maturità.
La scrittura segue un processo naturale di crescita, di esperienze, di conoscenza e maturità. È un normale cambio di prospettive, orizzonti e punti di vista.

Un album come “Psychodonna” – e anche un album come “Forever” di Francesco – che tipo di effetti avrà sulla musica dei Baustelle? Come credi si concilierà il vostro tornare a fare gruppo dopo esservi esposti in maniera così personale nei lavori solisti?
Io credo sinceramente che sia un momento personale importante per entrambi, non so cosa porterà e cambierà all’interno del gruppo ma sicuramente sono esperienze che potranno solo arricchirci e dare stimoli nuovi.

 

 

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