“Ricercare dentro i misteri del mondo è un modo per indagare le origini di noi stessi; le opere di Giuliani ci aiutano e ci sorreggono in questa sfida.”
Mario Botta
Roma, 14 ottobre 2022 – Armonie di pietra. Il paesaggio delle Marche nelle sculture di Giuliano Giuliani è una mostra promossa dalla Regione Marche, dal Comune di Ascoli Piceno e dal Parco archeologico del Colosseo per raccontare la regione attraverso le opere dell’artista ascolano Giuliano Giuliani. La mostra avrà due sedi: a Roma a partire dal 15 ottobre 2022 fino all’8 gennaio 2023 è ospitata al Parco archeologico del Colosseo, cuore pulsante dell’antica Roma ed è curata da Daniele Fortuna;
ad Ascoli Piceno dal 7 aprile al 28 giugno 2023 presso il Chiostro di Sant’Agostino con la curatela di Carlo Bachetti Doria.
A Roma, il percorso espositivo, composto da 20 opere in travertino dell’artista scultore
marchigiano Giuliano Giuliani, si snoda dalla Basilica Emilia alla Basilica Giulia passando per la
piazza del Foro Romano e attraversando alcuni tra gli edifici più importanti di quello che era il centro
politico, amministrativo, religioso, giudiziario e commerciale della città.
“La Regione Marche – afferma l’Assessore alla Cultura Giorgia Latini – compartecipa ogni anno alla
realizzazione di alcuni eventi espositivi di particolare rilievo per valorizzare e promuovere le peculiarità
del nostro patrimonio artistico e i numerosi artisti marchigiani, che ben ci rappresentano a livello
nazionale ed internazionale, facendo conoscere anche le molteplici e originali espressioni dell’arte
contemporanea presenti nel nostro territorio. Le sculture di Giuliano Giuliani esprimono in particolare
tratti formali e teorici che corrispondono al paesaggio e alle caratteristiche immateriali e materiali delle
Marche. In effetti si rintraccia nel rigore del suo lavoro una certa spinta all’interiorità, tipica dello spirito
marchigiano, mentre il travertino richiama ad una delle identità specifiche dell’ascolano e non solo.
Quello che ne viene fuori sono corpi pieni e compatti ma anche depressioni d’ombra che diventano
parte integrante dell’espressività dell’opera.”
“Due città antiche e ancorate nella storia, collegate da un filo sottile scolpito nel travertino. Con questa
idea nasce la mostra” – interviene Marco Fioravanti Sindaco di Ascoli Piceno – “che unisce i tesori
unici della Capitale alle bellezze artistico-architettoniche di Ascoli Piceno. Il travertino, duraturo e
resistente, utilizzato dall’artista Giuliano Giuliani per le sue splendide opere, ricorda lo spirito di
resilienza del popolo Piceno e marchigiano: colpito da un’annosa crisi economica, messo in ginocchio
dal terribile sisma del 2016, dall’emergenza Covid e adesso anche da una forte alluvione nel nord della
regione, ma incapace di arrendersi e sempre pronto a rialzarsi e a guardare avanti con fiducia e
ottimismo. Sono fiero e orgoglioso che una mostra così importante faccia tappa a Roma e poi nella
città di Ascoli Piceno, grazie a un sinergico e proficuo lavoro con la Regione Marche e il Parco
Archeologico del Colosseo. E allora non resta che invitare tutti a visitare una mostra che, sono
convinto, non deluderà attese e aspettative di curiosi, appassionati e addetti ai lavori.”
Alfonsina Russo, Direttore del Parco Archeologico del Colosseo dichiara: “La regione Marche è
una terra tesoro del nostro del Paese, la cui bellezza rifulge nelle opere di Giuliano Giuliani, lo scultore
marchigiano che conferisce al travertino la stessa morbidezza e omogeneità delle colline e dei paesaggi
della sua regione di origine. Ma il travertino fa parte anche della storia di Roma e dei suoi monumenti,
come il Colosseo. Così, quale luogo migliore per accogliere le sculture di Giuliani, in un momento tra
l’altro così difficile per una terra che sta facendo i conti con le calamità naturali che vi si sono
abbattute? Nella speranza che, attraverso la bellezza delle opere in mostra così rappresentative delle
Marche, giunga tutta la nostra vicinanza alla popolazione così terribilmente colpita”.
Giuliano Giuliani, scultore del bianco, nasce ad Ascoli Piceno, luogo natìo non solo della sua arte ma
anche del materiale di cui si serve per crearla: il travertino, ovvero la roccia sedimentaria calcarea che,
per le sue caratteristiche di resistenza e durata nel tempo, è stata la pietra elettiva dell’architettura
romana.
Lo scultore estrae direttamente dal grembo delle Marche la pietra e la lavora nella cava di famiglia a
Colle San Marco, oggi trasformata nel suo studio a cielo aperto.
Quelle stesse opere che sembrano dialogare con l’essenza del paesaggio marchigiano sono ora
chiamate a confrontarsi con la storia della civiltà, nel nome di quella pietra che è l’essenza della
materia del passato, proprio nell’area centrale del Foro Romano: lacerti di travertino affiorano dai resti
della Basilica Emilia; nella piazza del Foro sono ancora visibili i lastroni in lapis Tiburtinus – estratto
dalle cave di Tivoli – della pavimentazione antica; della stessa pietra sono i gradini della Basilica Giulia.
Le forme morbide e fluttuanti delle sculture entrano in dialogo con le monumentali architetture romane,
creando un fil rouge tra archeologia e arte contemporanea e introducendo suggestioni e riflessioni
inedite sulla memoria e sul tempo.
Allo stesso tempo le sculture di Giuliani rappresentano veri e propri luoghi della sua terra: esprimono
tratti formali e teorici che corrispondono al paesaggio e alle caratteristiche immateriali della regione
Marche, all’interiorità che si esprime nel rigore del suo lavoro. Quello che ne viene fuori sono corpi
pieni e compatti ma anche depressioni d’ombra che diventano parte integrante dell’espressività
dell’opera: le armonie di pietra sono come rovine che l’artista – guidato dalla materia della sua terra e
dal flusso del tempo – riporta alla luce ricercando le radici della civiltà e del nostro essere.
“La caratteristica del mio lavoro è che si nutre di una diretta e personale manualità e di un fare per
sottrazione dal blocco intero” – racconta Giuliano Giuliani – “l’uso del travertino, la più sacra tra le
pietre, materiale arcaico e assoluto del mio lavoro, contribuisce a mantenere e inserire forme
contemporanee in luoghi diversificati, sia in ambito archeologico sia in ambito urbano moderno. È un
fare generato da una necessità di essenziale, un togliere il superfluo, “fare spazio” per lasciare il
risultato: segno di definizione alla restante fragilità; senso di valore alla leggerezza; ovvero spiritualità”.
Materiali disponibili sul sito ufficiale del PArCo > https://parcocolosseo.it/press_kit/armonie-di-pietra-giuliani
Immagini scaricabili dal seguente link > bit.ly/GIULIANO_GIULIANI
Uffici Stampa
Adele Della Sala | M. +39 366 4435942 | ads@ufficiostampa-arte.it
Anastasia Marsella | M. +39 380 3079809 | am@ufficiostampa-arte.it
PArCo – Ufficio per le Relazioni con la Stampa
Federica Rinaldi | Astrid D’Eredità
T. +39 06 699 84 443
www.parcocolosseo.it
pa-colosseo.ufficiostampa@cultura.gov.it
TITOLO
Armonie di pietra.
Il paesaggio delle Marche nelle sculture
di Giuliano Giuliani
SEDE
Parco archeologico del Colosseo
Piazza S. Maria Nova, 53
00186 Roma
DATE ROMA
15 ottobre 2022 – 8 gennaio 2023
DATE ASCOLI PICENO
7 aprile – 28 giugno 2023
CURATORE
Daniele Fortuna
Carlo Bachetti Doria
PROMOSSA DA
Parco archeologico del Colosseo
Regione Marche
Comune di Ascoli Piceno
ORGANIZZATA DA
Frasi Fatte
ORARI E BIGLIETTI
https://parcocolosseo.it/visita/orari-e-biglietti/
SITO INTERNET
parcocolosseo.it
www.regione.marche.it
www.comune.ap.it
CATALOGO
Silvana Editoriale
UFFICI STAMPA
Adele Della Sala | M. +39 366 4435942 |
ads@ufficiostampa-arte.it
Anastasia Marsella | M. +39 380 3079809 |
am@ufficiostampa-arte.it
PArCo – Ufficio per le Relazioni con la Stampa
Federica Rinaldi | Astrid D’Eredità
Tel: 06 699 84 443
www.parcocolosseo.it
pa-colosseo.ufficiostampa@cultura.gov.it
Testo critico di Mario Botta
Pochi chilometri sopra Ascoli Piceno, appena a lato della strada che sale sul pendio del monte, la
casa di Giuliano Giuliani si situa su uno spiazzo verde accanto alla vecchia cava di travertino. Il
padre e lo zio devono avergli trasmesso fin da bambino quella passione necessaria, al di là delle
conosciute fatiche, per estrarre da quel pendio i massi di pietra. Il visitatore resta sorpreso da
questa cava dismessa utilizzata dallo scultore come studio d’artista all’aperto, uno spazio incolto
e selvaggio, appena punteggiato, là dove si aprono alcune zone pianeggianti, da tende e
baracche erette a protezione delle pietre in lavorazione che non come riparo dell’artista dalle
intemperie. Credo che lo spazio fisico dell’atelier dove lavora l’artista si configuri come uno
specchio veritiero, un riflesso speculare dell’animo dell’autore: gli spazi sanno parlare agli uomini
e, soprattutto, sanno parlare degli uomini. Quell’atelier recuperato su quanto è rimasto della
vecchia cava di travertino racconta in maniera diretta le origini delle opere dello scultore e, nel
contempo, descrive lo spazio mentale, il pensiero più profondo e segreto che anima il suo
operare. Che cosa spinge lo scultore a scavare dentro il blocco di pietra nell’intento di estrarne
un’opera fragile e sottile da offrire allo sguardo incredulo dell’osservatore? Ricercare dentro i
misteri del mondo è un modo per indagare le origini di noi stessi; le opere di Giuliani ci aiutano e
ci sorreggono in questa sfida. Scoprire le meraviglie offerte da una superficie di pietra levigata,
tolta dalla montagna e ritagliata con perizia fino a trasformarla in una sottile lama, come se si
trattasse di modellare le ossa della terra madre, è un processo arcaico e nel contempo sapiente di
un mestiere – quello dello scalpellino – che ha narrato lungo i secoli racconti e leggende attorno
alle quali la cultura cristiano occidentale ha maturato forti emozioni. Ora, Giuliani, nel bel mezzo di
un tempo scandito dalla nostra pochezza, ci riprova con la consapevolezza della fragilità del
nostro vivere, delle contraddizioni che connotano la nostra quotidianità. Lo scultore offre questi
suoi sinuosi fogli di pietra che si presentano leggeri e sottili ma che nel contempo evocano forze
primordiali di gravità nell’essere parti vive del mondo. È attraverso la bellezza di queste superfici
che possiamo prendere coscienza delle forze che ordinano la terra. Il destino ultimo, intimo e
segreto proprio dell’artista rimane quello di confrontarsi con le origini dell’“essere”, che rinvia, noi
fruitori, a considerarci parti infinitesimali della storia. Giuliano Giuliani, attraverso queste opere
resuscitate dalla terra, pone domande inquietanti che rivelano il suo talento, la sua passione con
disarmante serenità e poesia.
Giuliano Giuliani, ovvero il peso assoluto della forma
Testo di Alessandro Masi
Il trucco di Michelangelo di Arturo Martini! Ecco l’idea che mi viene subito in mente osservando le
opere di Giuliano Giuliani raccolte nel suo studio di San Benedetto del Tronto e nel suo eremo di
Colle San Marco, un pugno di case appena sopra le montagne di Ascoli Piceno. Una scultura
realizzata “per via di torre”, di togliere, di sottrarre vuoto allo spazio, più che di riempirlo di materia.
Per lui si tratta di tradurre in atto ciò che nella pietra è già in potenza, di rendere visibile l’invisibile,
di estrarre platonicamente l’idea. Sono forme miracolose quelle che lo scultore fa emergere dalla
massa compatta dei blocchi di marmo travertino, una pietra bianca e venata, estratta dalla cava
picena che un tempo fu ragione delle attività famigliari gestite dall’inflessibile padre, dove Giuliano
è cresciuto a colpi di mazzetta e scalpello.
Il mondo della pietra non è per tutti. In arte vincono quelli che resistono al duro corpo a corpo con
una materia di per sé ostica, aspra, resistente, che ha bisogno di una forza del tutto particolare per
essere sottomessa e che soprattutto non ammette ripensamenti. È un viaggio fatto di pane e
sudore, di bestemmie e preghiere, che deve essere programmato nella testa di chi lo affronta. “È
uno scavo interiore – come ha confessato ad Antonio Gnoli in un’intervista su Robinson – che mi
ha consentito, attraverso la materia, di intuire la forma originaria. La scultura è prima di tutto
un’esperienza fisica. Tutto passa attraverso il corpo, è la sola via per raggiungere la spiritualità”.
Sono intuizioni, sono idee quelle che piegano la forma alla sua volontà, che plasmano la materia
per renderla duttile, fluida, malleabile al tatto e alla vista. Non esiste poeta più fragile dello scultore,
sempre sensibile al dramma dello spazio, alla catastrofe, all’esodo della parola verso l’altrove.
Arturo Martini alla fine della sua carriera visse la tragedia della statuaria come una ineluttabile,
irreversibile, definitiva sconfitta della plastica moderna ridotta a puro orpello celebrativo. Come
Icaro, Martini aveva tentato di andare al di là e al di sopra della statica e dell’inerzia, credendo che
la “maestà espressiva” dell’opera sarebbe stata raggiunta solo quando questa avesse posseduto
finalmente il suo “peso assoluto”. Di questa massa critica Giuliani ha compreso il senso, facendo
del testamento di Martini il punto da cui ripartire, fino a ritrovare il “peso assoluto” nell’assenza di
peso, di pieno e di spazio proprio là dove la materia sembrerebbe richiedere peso, pieno e spazio.
La sua non è né “antimateria”, né “antispazio”, ma soltanto un paradigma rovesciato, un’equazione
inversa dei volumi che, forse, in matematica, potrebbe trovare qualche sua formula precisa, ma
che noi traduciamo come intuizione poetica dei vuoti, analisi sistemica della catastrofe, dizionario
del verbo intraducibile.
Le sculture di Giuliani spiazzano lo spettatore, lo disorientano, fanno vacillare chi le guarda a
seconda delle prospettive da cui si intende osservarle, comprenderle, toccarle. Non esistono punti
di privilegio, di comodo, di assestamento, poiché i suoi sono frammenti d’immagine di un moto
perpetuo, universale, cineticamente evolutivo e intraducibile, se non rapportato a ciò da cui tutto ha
origine: la verità, una verità, la sua verità, che Giuliani trasforma in carne del mondo, in un
offertorio di poetica assoluta, mistica, interiore, silente.
Testo critico di Nunzio Giustozzi
“Sulla pietra bianca”. Giuliano Giuliani, epifania dell’assoluto
Tu sembri
aver dormito sulla pietra bianca
in mezzo al popolo dei sogni.1
Filopatride, XXI
Come le orme di un animale sulla neve
Le sculture di Giuliano Giuliani si adattano spontaneamente alla natura. Ma a un’osservazione più attenta,
esse lasciano riconoscere di aver preso corpo da una mano umana, sono pietre intagliate da un autore che
si fa condurre dall’opera che sta nascendo, obbedendole, dandole fiducia. Spesso un particolare, un profilo,
un abbrivio lo seducono e diventano il germe di una nuova scultura. “Le forme arrivano, affascinanti o
estranee, ostili, inspiegabili, silenziose e assonnate. Nascono da sé stesse…” sosteneva Jean Arp, cui non
sembrava far altro nel creare che spostare le mani. Il soggetto entra dunque in punta di piedi prima di
imporsi con la sua morfologia, l’ispirazione è leggera e l’artista asseconda l’affiorare di una presenza come
seguendo le orme di un animale sulla neve.
In primavera cani lupo e cavalli allo stato brado gli sono inseparabili compagni su un prato fiorito tra
le balze rocciose: così lo vediamo nelle fotografie di Mario Dondero, un amico comune vivo nei nostri cuori,
che lo riprendono nella casa studio tra i boschi di Colle San Marco, proprio sopra Ascoli Piceno. È una sorta
di eremo laico ? accanto a quello romanico frequentato dall’artista dove il fascino del paesaggio si fonde
con la suggestione della storia ? nell’anfiteatro dell’avita cava di travertino, materiale d’elezione della città,
che Giuliani ha trasformato nel laboratorio privilegiato della sua ricerca. In quel luogo è cresciuto tra
scalpelli, frollini, mazzuoli, graffioni, picchette, smerigli, arnesi oggi inquadrati in alcune nature morte
fotografiche, osservando quotidianamente il padre e lo zio rapportarsi con rispetto, con la perizia tecnica di
un trattamento ancora artigianale, con rigore a quella entità millenaria.
Il riflesso della luce sulla pietra, iridescente nelle varie ore del giorno dal bianco latte al noce, lo
sfioramento di quella pelle a tratti liscia, a tratti porosa, ferita, l’odore e il suono emanati dalla lavorazione
hanno sortito una consuetudine sensoriale lunga una vita e divenuta dialogo intimo, riflessione, creazione:
gli hanno insegnato ad ascoltare il respiro della pietra. Questa involontaria “predestinazione” si è
corroborata attraverso un serio percorso formativo, metabolizzando secoli di arte scultorea ? dalla forza
dirompente dei primitivi al dinamismo barocco fino ai magisteri del Novecento ? per arrivare a un proprio
linguaggio totalmente nuovo, scaturito dalla straordinaria abilità tecnica acquisita negli anni, da
un’approfondita conoscenza plastica e dalla sostanziale identificazione fra arte e vita, dato che per lui la vita
è lo scopo dell’arte, a sua volta metafora dell’esistenza.
1 L’esergo di Philopatris del corpus lucianeo è in Anatole France, Sur la pierre blanche, Calmann-Lévy Éditeurs, Paris
1905; tr. it. di Giovanni Marcellini, Sulla pietra bianca, Rizzoli, Milano 1961, p. 8. Nel primo capitolo del visionario
romanzo in forma di dialogo quattro francesi, in vacanza a Roma, si incontrano al tramonto tra i ruderi del Foro
Romano per discutere e ragionare di politica e di civiltà, commentando la storia più antica dell’uomo e del mondo e
spingendosi ad azzardare previsioni sulle sorti dell’umanità oltre l’anno duemila, premonizioni di un futuro di
sconvolgente attualità: guida illustre Giacomo Boni, carismatica figura di archeologo cui va il merito di aver posto, con
scavi perfetti e documentati, un punto fermo sulla topografia dell’area ove si snoda il percorso espositivo della mostra,
ma anche “vate e veggente del Palatino”, colle dove viveva circondato da una piccola corte in un’atmosfera monacale e
decadente intrisa di misticismo.
Il bagliore dello spirito
Giuliani coniuga liturgicamente la fatica del lavoro manuale nell’ardita, inesorabile lotta con la durezza della
pietra ? che, malgrado la sua resistenza, piega, avvolge, riduce a impalpabili e diafani veli, musicali canne
d’organo, sfuggenti spirali nell’assoluta levità della forma con esiti espressivi di raro lirismo (Spirali – È
risorto, 2004-2006) ? a una dimensione interiore, contemplativa che intride le opere di intensa spiritualità,
non tanto in senso dottrinale quanto filosofico per i caratteri di pregnanza di significato tradotti da un
adeguato significante.
Scavare il travertino è insieme scavo interiore, silente scambio con la natura, religiosa nicchia per il
contatto intimo, il confronto con la Creazione. La valenza mistica del fare artistico di Giuliani si evince
dall’aura di sacralità emanata dalle sue sculture: ogni elemento superfluo, accessorio è eliminato perché
indifferente, senza alcun compiacimento virtuosistico. Icone ancestrali e ieratiche sembrano vibrare nello
spazio sul moto ascensionale della resurrezione, della trasfigurazione come se lo scultore, sublimando la
materia, ne cogliesse ritualmente la vera essenza, l’anima trascendente.
Il fulvo travertino viene da Giuliani accuratamente scelto nella vena, levigato, forzato in arditissime
volute, laminato a spessori esili, esaltato nei valori luministici che vanno dal cangiante nitore dei corpi pieni
e compatti alle depressioni d’ombra, all’oscurità dei pori e delle naturali falle che diventano così parte
integrante dell’espressività dell’opera, riusate artisticamente dopo essere state già narrazione di una storia
geologica e biotica, carta geografica fatta di pressione, temperatura, azione batterica. Le pareti sottili
lacerate, ondulate, avvolte, svelate da lame di luce dialogano con l’ambiente accrescendo l’insita forza
“divina” cui lo scultore talvolta impone eticamente un assoluto formale se non si lascia, come più di sovente
accade, guidare dalla sostanza stessa della nuda pietra, chiara e autentica. In questo senso la scultura di
Giuliani è vicina all’astrazione: le sue non sono forme oggetto ma idee, concetti comunicati attraverso la
materia dell’opera.
Esempio ne è Caravaggio del 2012, scultura articolata nel vuoto attraverso curve linee di forza:
sembra si libri nell’aria non soggetta alle leggi di gravità, evocando emotivamente il sontuoso panneggio
dell’Angelo nel Riposo durante la fuga in Egitto, retaggio manierista nella stagione d’esordio del grande
Maestro lombardo, o i sensuali, preziosi e più drammatici drappi berniniani dai foschi chiaroscuri. Ma
l’opacità del travertino ne spegne il sapore di lusso2, quasi blasfemo, qui come nel teatrale; eppure, muto
colloquio a distanza dell’Annunciazione (2008).
Altre volte l’artista taglia, risega, torce, squarcia masse con secca crudeltà, cosicché assumano
l’aspetto primordiale di misteriosi gusci ai quali sinistri riverberi possono donare il fascino della rovina,
l’effigie gotica di un’apparizione spettrale: come accade nello straziante Trittico baconiano Parti di corpo 1,
2, 3, risalente agli anni 2000-2013, di una fragile bellezza che non saprebbe sopportare venti impetuosi.
Spazio, luce, colore
L’ampio ventaglio di relazioni formali relative al cambiamento dell’angolo visuale e quindi dell’incidenza
luminosa, esaltata in cattività dall’obiettivo del fotografo, è una costante preoccupazione dell’artista nel
2 Multo magis mirarer, si Tiburtino lapide fecissetis: Plinio (Naturalis historia, XXXVI, 5) riporta l’esclamazione di
Cicerone di fronte a opere realizzate in marmi esotici cangianti mostratigli come stupendi, sicuramente dettata da un
atteggiamento critico e prevenuto nei confronti dei marmi colorati provenienti da altri Paesi, come manifestazione di
luxuria, nella convinzione che il largo uso del travertino nella sua epoca rivelasse la superiorità dei materiali da
costruzione romani rispetto a quelli importati. Cfr. Maria Antonietta Tomei, Il travertino nei testi letterari, in Lapis
tiburtinus. La lunga storia del travertino, catalogo della mostra (Tivoli, Museo della Città, maggio 2019 – gennaio 2020),
a cura di Maria Antonietta Tomei, Roberto Borgia, Tivoli 2019, p. 178. Nel medesimo volume opere di Giuliano Giuliani
sono illustrate all’interno del contributo antologico di Giuseppe Pucci, Una pietra scabrosa. Sculture moderne in
travertino, p. 165, figg. 17, 18.
costruire quasi sempre complesse architetture che negano un’univoca rappresentazione e rifiutano un
punto di vista privilegiato come nelle recentissime e inedite Condotta Uno e Condotta Due del 2022, dove si
integrano la naturalezza della rotondità e l’incisività dei tagli geometrici, degli spigoli vibranti alla ricerca
dell’elemento primordiale, il punto di incontro del principio e della fine.
Sono capolavori che si caricano di una solenne monumentalità perché Giuliani intende la scultura
come environment e le sue opere si rapportano sempre in modo fecondo e inatteso con spazi storici, come
accade per Q come quadro, esposta al pubblico per la prima volta nella corte pentagonale della
neoclassica Mole Vanvitelliana di Ancona3, e per Oltre Q di Quadro (2000-2020), in cui il sensibile diventa
“ambientale”: un’opera aperta, da ispezionare nella struttura osteologica, nata all’esterno, che sub divo si è
voluta collocare perché l’aria potesse ancora circolarvi e la volubile luce impigliarsi nell’intreccio delle
superfici ruvide e spugnose dentro, lisce e tenere fuori come le scorze di un frutto al contrario delle cortecce
degli alberi. L’effetto di tensione trattenuta e tale conflitto offrono al riguardante la sensazione di una vitalità
interna alla scultura che diverrà anche, sottoposta agli agenti atmosferici, una “forma del tempo”.
La sperimentazione di Giuliani sconfina poi nel discreto inserimento di misurati lacerti di pigmento
su geometriche, rugginose porzioni in gesso a rompere talora l’incantesimo del bianco, uno scarto
dall’usuale unitarietà del blocco, fino a inedite, artificiali contaminazioni con materiali molto diversi ma
efficaci nel confronto estetico, come in Separé del 2014-2015 dove il travertino si confronta e gareggia in
duttilità con finissimi drappeggi di fibre tessili colorate o in Senza titolo con paillettes del 2018: una
maschera tribale vagamente antropomorfa ? dorso metallico e tagliente, frastagliato profilo di manta ? che
si sfoglia e si infossa morbidamente in una conca, dal bordo liquido come il latte, destinata a un acrilico
brodo primordiale da cui fioriscono aggrumati bagliori di germogli smeraldini.
De rerum natura
Giuliano Giuliani non ha dunque voluto imitare la natura, non ha inteso riprodurre: ha desiderato generare e
non copiare in un’indagine che non si limita alla componente fenomenica ma rintraccia l’aspetto recondito
della materia, la cifra insondabile di un reale ancora in buona parte sconosciuto, liberandone l’energia
potenziale. La sua scultura “organica” è dunque poietica in senso aristotelico, perché impronta la materia
fino a farne potente rivelazione di un guizzo di pensiero, di una trama di sogni, di un gesto d’amore che
rinnova ogni volta il mistero della Creazione. Le sue sculture, i suoi oggetti immessi nel teatro del mondo
dopo aver sapientemente cancellato ogni traccia di derivazione dalla cava, potrebbero pure restare anonimi
all’interno della grande officina della natura come le nuvole veloci, le gobbe delle montagne, le valli dove la
luce scivoli con dolcezza, i mari dalle onde tempestose, le foci dei fiumi.
In opere possenti; eppure, armoniose come L’Africa del 1991, Cuore del 2007 e Monte del 2010,
che conservano morfologia e confini cui i titoli alludono, emergono sagome rigonfie e dissestate – come dal
letto di un quadro in Estuario del 2018 – arrotondate dalle acque ma non troppo perché il biondo travertino
non perda al tatto e alla vista quella grana spessa e porosa, le venature, le asperità, le fenditure e le crepe di
un’annosa epidermide che danno il senso della perdita. Non sarà questo il loro destino: la scultura di
Giuliano Giuliani potrà anche perdersi nella natura, senza però mai confondersi con essa, come rivela
l’incanto delle fotografie d’autore che riportano “artisticamente” le opere nello scenario in cui hanno ricevuto
in dono la vita o propiziano, tra luce e ombre, vagheggiamenti veritieri.
3 L’occasione è stata la collettiva di scultura da me curata presso il Museo Tattile Statale Omero nell’estate 2018: cfr. N.
Giustozzi (a cura di), Forme sensibili, catalogo della mostra (Ancona, Mole Vanvitelliana, 7 luglio – 16 settembre 2018),
De Luca Editori d’Arte, Roma 2018, pp. 22-24, 56-69.
Al Foro Romano, il tempo oltre la storia
“La vista delle rovine ci fa fugacemente intuire l’esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i
manuali di storia o che i restauri cercano di richiamare in vita. È un tempo puro, non databile, assente da
questo nostro mondo di immagini, di simulacri e di ricostruzioni, da questo nostro mondo violento le cui
macerie non hanno più il tempo di diventare rovine. Un tempo perduto che l’arte talvolta riesce a ritrovare”4.
Anche Giuliano Giuliani, come Marc Augé, da sempre riflette sul suo rivale, il tempo, grande
scultore5, sulla sua percezione, sulla sua fragile e subitanea realtà, con mille risorse sonda le sue diverse
profondità. E insieme, ripensa al suo mestiere, a ciò che gli ha insegnato, alle considerazioni che gli ispira e
alle nuove domande che gli pone.
La ricerca più recente ha inteso esplorare l’originalità e la forza dell’incontro tangibile dei suoi lavori
con i più potenti scenari della storia. Cronologicamente: una disadorna chiesa medievale sull’acropoli
sentinate; i vani ambigui dell’arcigno forte della sua città, fatto della stessa materia delle sue opere d’arte; la
limpida architettura umanistica della “chiesa più bella del mondo” come definì Bernini il Santo Spirito di
Brunelleschi (e del Cronaca) al cospetto di Michelangelo; una nicchia vuota alle spalle dell’esuberante,
rigoglioso festone intagliato dal Borromini a inghirlandare l’arco trionfale dell’Accademia di San Luca a
Roma. Luoghi perfetti, chiusi, in cui le sculture di Giuliano Giuliani severe, astratte, spoglie, antiretoriche,
come “scherzi di luce”, hanno intessuto un dialogo straniante e seducente con l’incomparabile spazio
circostante, epifanie di indicibile fascino.
Qualcosa di nuovo e di speciale succede oggi, quando con umiltà l’artista si carica delle
suggestioni che gli provengono dal Foro Romano, compreso con riverenza nei suoi valori e nelle sue forme
essenziali. Egli chiede l’ardire al funambolo di tentare con trepido passo la sfida, epigono di tanti altri che
l’hanno preceduto, sedotti dalla magnetica capacità attrattiva del sito6, di confrontarsi, di entrare in sintonia
con un paesaggio archeologico millenario, quasi quanto il travertino che plasma, già tormentato dagli
aggressivi impeti della natura. Mette in conto pure il rischio di “perdersi” in un ambiente soverchiante:
invece antico e contemporaneo stavolta si fondono in un unico processo creativo ispirato alla percezione di
quello spazio mitico, in un’opera d’arte che, anche nelle modalità di fruizione, diremmo totale, in cui il
passato si rifonda allorché si rende diversamente intellegibile grazie alla dialettica che instaura con il
presente.
Nel solco del controverso dibattito suscitato dall’estetica concepita da Adorno, tesa alla
valorizzazione di opere frammentarie, incompiute, aperte, irrisolte, si colloca d’altronde la scultura
discontinua dell’autore in cui l’azione dinamica e gestuale, “il bagliore dello spirito”, come nei monumenti
romani da secoli sub divo, eccederebbe l’irrevocabile, nolente degrado della materia – capita spesso che le
opere si spezzino (anche durante la movimentazione e il trasporto) o risentano dell’essere lasciate all’aria e
alle intemperie, o che siano riprese, rilavorate e “aggiustate” in un lasso di tempo inteso come “durata” –
6 Si legga a riguardo il mio Artisti ai Fori, in Nunzio Giustozzi, The Roman Forum Book, Electa, Milano 2019, pp. 206-237.
5 “Tutto scorre. L’anima che assiste, immobile, al passare delle gioie, delle tristezze e delle morti, di cui è fatta la vita,
ha ricevuto ‘la grande lezione delle cose che passano’” scrive Marguerite Yourcenar ne Il Tempo, grande scultore e
attraverso il flusso di una riflessione continua, dall’intelligenza delle cose, tramite il filtro dello stile, approda, come
Giuliano Giuliani, a una classica misura di meditazione.
4 Marc Augé, Le temps en ruines, Éditions Galilée, Paris 2003; tr. it. di Aldo Serafini, Rovine e macerie. Il senso del
tempo, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 8.
dimostrando l’assoluta resilienza dell’arte medesima7. Nulla di più attuale dunque – i pensieri, le parole, le
opere di Anselm Kiefer lo rivelano – di sculture che tendono a manifestarsi tragicamente già vestigia di sé,
inducendo il riguardante a contemplarle, nell’ora incerta del giorno che attraversa mutevole i cieli sopra il
Foro dall’aurora al crepuscolo8, tra le più insigni tracce della memoria, tra i segni della cultura, in quello che
Giacomo Boni chiamava “il libro più grande” allora in parte sepolto, ancora tutto da decifrare9, per vivere
l’intuizione di un tempo puro, fuori dalla storia, al paragone schiacciante delle immagini immanenti e parziali
della contingenza, per assistere a un’invisibile trasfigurazione di assoluto.
9 “Per molti anni mi è parso che il più grande libro della storia umana, la storia della vita di Roma, giacesse ancora
sepolto, pagina su pagina, come era stato scritto, sotto al mezzo miglio quadrato del Foro, il più famoso sito
dell’antichità. Solo alcuni frammenti del suo capitolo conclusivo erano stati finora decifrati”. Così scriveva Giacomo
Boni all’inizio del Novecento, negli anni in cui stava conducendo la sistematica esplorazione del Foro Romano, parole –
riferite anche da Benedetto Croce nel suggestivo profilo che egli traccia del grande archeologo (La letteratura della
nuova Italia, VI, Bari 1940, p. 209): cfr. Ferdinando Castagnoli, La zona archeologica di Roma, in Roma. Studio per la
sistemazione dell’area archeologica centrale, a cura di Leonardo Benevolo (“Lavori e Studi di Archeologia” pubblicati
dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, 7), De Luca Editore, Roma 1985.
8 L’invito è a immergersi nelle pagine de L’ora incerta (Electaphoto, Milano 2014) e a sfogliare il tempo catturato da
Luigi Spina con la fotografia, fermandolo artificialmente in superficie. Come ha saputo vedere Giovanni Fiorentino: “La
plasticità dei resti degli edifici quasi contraddice la bidimensionalità del medium fotografico, lo sguardo si muove
virtualmente tra gli spazi, i volumi e le poche ombre fantasmatiche delle Vestali di pietra che evocano i sogni del
fotografo. Per ogni ora e ogni sezione del libro c’è l’impronta fluida e luminosa del tempo stampata in immagine su
carta: colore, ombra, luce in grado di rianimare la pietra, le lastre di basalto, il marmo, i laterizi, il travertino” (op. cit.,
p. 19).
7 Sull’argomento si veda l’illuminante prefazione di Gabriele Guercio, Perché l’arte sopravvivrà alle sue rovine?, ad
Anselm Kiefer, L’arte sopravvivrà alle sue rovine, tr. it. di Deborah Borca, Feltrinelli, Milano 2018 (ed. or. L’art survivra à
ses ruines, Éditions du Regard, Paris 2011), pp. 9-14.
Biografia
Giuliano Giuliani è un artista scultore italiano. Appassionato del materiale elettivo della sua città, il travertino,
ha trasformato la cava paterna sul colle San Marco nel suo luogo privilegiato e laboratorio di ricerca.
Dopo aver frequentato il locale Istituto Statale d’Arte, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Macerata. Tiene
la sua prima mostra da studente nel 1975 alla Galleria Nuove Proposte di Ascoli Piceno. Da allora ha
partecipato a numerose rassegne come la LIV Biennale di Venezia, il Premio Marche, il Premio Michetti e
Vasto e la Biennale d’Arte Sacra di San Gabriele. Molte sono state, dopo quella data, anche le mostre
personali, tra cui nel 1992 alla Galleria De’ Serpenti di Roma, nel 2000 alla Galleria L’Isola di Trento, nel
2002 al Palazzo Massari di Ferrara, nel 2004 con un presepe in travertino nella Chiesa Rupestre Madonna
delle Virtù di Matera. Nel 2007 al Bastione Sangallo di Loreto e alla Galleria Ceribelli di Bergamo. Nel
2011“Lo splendore della Verità La bellezza della Carità” è la mostra con cui partecipa all’omaggio degli
artisti a Benedetto XVI per il 60° di Sacerdozio, Città del Vaticano aula Paolo VI. Nel 2012 insieme a Giorgio
Cutini al Museo di Roma in Trastevere. Con “Gli Artisti e la Bibbia” è presente nel Nuovo Lezionario
CEI. Nel 2014 un’ampia esposizione con 18 stanze allestite al Forte Malatesta di Ascoli Piceno con foto di
Mario Dondero. Con “Graziano Ricami Art Design” è presente al salone del mobile di Milano e a “La
Creation II”, nell’Ambasciata d’Italia a Parigi. Espone alla Galleria Gino Monti di Ancona, ed è presente nel
Padiglione Eataly di Expo Milano 2015, “Il tesoro d’Italia”. Da Novembre 2015 a Gennaio 2016 con la
personale “Bandiere o Dormienti” alla Galleria la Nuova Pesa di Roma. Elisabetta Sgarbi sceglie un’opera
per la tomba di famiglia. Da giugno a settembre alla Galleria Monserrato Arte ‘900, con “Nedda
Guidi-Giuliani Giuliano”. Mostra omaggio alla 66a rassegna Internazionale G.B. Salvi di Sassoferrato “La
profondità della Leggerezza”. Nel 2017 con l’architetto Mario Botta, collabora per l’arredo liturgico
della cappella del Centro OTAF Casa Nava, a Sorengo (Lugano). Nel 2019 alla Galleria Nazionale D’Arte
Moderna di Roma, “L’Infinito presente” con la Galleria La Nuova Pesa e 29 artisti e 29 poeti per il
bicentenario de L’infinito di Leopardi. Sempre nel 2019 si confronta con Brunelleschi e Michelangelo
esponendo opere sacre nella Basilica e nella Sagrestia della Basilica di Santo Spirito a Firenze. Nel 2020
nell’ambito della Milanesiana partecipa con la mostra “L’anima della pietra, Giuliano Giuliani, Tino di
Camaino e due maschere federiciane. Nel 2021 espone a Smerillo nell’ambito del Festival “Le parole della
montagna”. Nel 2022 è presente presso l’Accademia Nazionale di San Luca a Roma nella mostra Una storia
nell’arte. I Marchini, tra impegno e passione.
Hanno curato sue mostre e scritto sul suo lavoro, tra gli altri, Mariano Apa, Giuseppe Appella, Marco
Belpoliti, Mario Botta, Beatrice Buscaroli, Carlo Alberto Bucci, Lorenzo Canova, Carlo Chenis, Fabrizio
D’Amico, Mario Dal Bello, Massimo Duranti, Carlo Franza, Nunzio Giustozzi, Antonio Gnoli, Paolo Mauri,
Carlo Melloni, Stefano Papetti, Osvaldo Rossi, Vittorio Sgarbi, Daniela Simoni, Marisa Vescovo.
Le sculture di Giuliani, oltre che in numerose raccolte private, sono presenti nelle collezioni dei Musei
Vaticani, al Musma di Matera, del Museo d’Arte Paolo Pini di Milano, del Centro per la Scultura
Contemporanea di Cagli, del Museo Diocesano di Lecce, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna Osvaldo
Licini di Ascoli Piceno, nella sede centrale di Roma della BNL. Parco Scultura Trasanni a Urbino, al Parco
delle Sculture Casilino-Labicano di Roma e della città di Brufa, nella Pinacoteca Civica “F. Podesti” di
Ancona. All’interno della campagna di Aprilia l’artista ha realizzato un monumento alla memoria di Eric
Waters, genitore del leader dei Pink Floyd Roger Waters, caduto durante lo sbarco di Anzio. L’opera è stata
inaugurata alla presenza del musicista inglese.