Le oblique traiettorie del songwriting: intervista a Will Epstein

Le oblique traiettorie del songwriting: intervista a Will Epstein

Will Epstein è in giro da parecchio ma soltanto lo scorso 3 febbraio ha pubblicato il primo album firmato col suo nome e cognome. L’album si intitola “Wendy” e contiene dieci tracce di bellezza aliena, percorse da un desiderio strisciante e segnate dalla produzione di Michael Coleman e dalla collaborazione ai testi della poetessa Maggie Millner. Difficile incasellare “Wendy” in un genere preciso, si potrebbe parlare di songwriting sperimentale ma la definizione non rende giustizia alle tante sfumature che ci sono nella musica dell’artista newyorkese, che dimostra di essere un autore e un polistrumentista originale e raffinato.

 

“Wendy” sembra tracciare una traiettoria obliqua nella grande tradizione della canzone americana, toccando spesso i territori della sperimentazione. Sembra una musica liquida capace di deformarsi e assumere una nuova forma di volta in volta. Come descriveresti la tua musica a chi non l’ha ancora ascoltata?
Onestamente devo ancora trovare una descrizione concisa della mia musica che possa avere senso, ma la tua definizione mi piace: “musica liquida”, magari userò questa! E’ comunque difficile, perché spesso cerco deliberatamente di eludere qualsiasi genere, mentre cerco al contempo di rimanere fedele alla musica che mi ha ispirato e che copre comunque uno spettro molto ampio. Devo dire che spendo molto tempo a lavorare sull’elemento ritmico di una canzone perché sono convinto che sia l’elemento che più di ogni altro può indirizzare velocemente una canzone verso un genere. Spesso basta ascoltare il suono di una batteria per essere trasportati in un posto specifico e la maggior parte delle volte non mi piace che questo accada.

Ascoltando “Wendy”, ho l’impressione di trovarmi ad una certa distanza dalle sue canzoni. Sembra quasi di ascoltarle dall’altra parte di un vetro. E’ un effetto un po’ disorientante. E’ qualcosa di voluto?
E’ un punto di vista davvero interessante. Non avevo in mente l’immagine del vetro di cui parli o l’idea di creare distanza tra me e l’ascoltatore ma mi piace pensare che tu ti senta disorientato ascoltando il disco. In effetti ho fatto ogni sforzo possibile per creare suoni e dettagli all’interno delle canzoni che fossero inaspettati e che non seguissero le direzioni verso le quali le nostre orecchie sono abituate ad andare. Ho atteso effettivamente di sentirmi piacevolmente confuso da ciò che stavo ascoltando e di avere la sensazione di poter connettere una parte profonda di me con i suoni con cui stavo lavorando. E’ stato un processo del tutto naturale ed intuitivo, non ho certo cercato di apparire strano o intellettuale. Da quel punto di disorientamento è come se si aprisse uno spazio, una pausa, un momento per ascoltare e sentire veramente. In questo senso, cercavo di creare vicinanza con l’ascoltatore, non distanza.

C’è una situazione ideale per ascoltare la tua musica?
Non saprei dire, ma un amico di recente mi ha detto che la sequenza da “Will The Morning Come” a “Oyster Bay” è suonata perfetta mentre guidava con le cuffie accese – e i fari spenti – in direzione nord sulla Highway 1 in California alla luce della luna piena. Questa cosa mi è piaciuta. Personalmente apprezzo la musica che ascolto in una situazione alienante, per esempio su un aereo, e che mi aiuta a sentirmi con i piedi per terra, quindi sarei commosso se per qualcuno la mia musica funzionasse in quel modo.

Cos’è per te la canzone d’amore?
Il tipo di canzone d’amore che mi attrae e che ho cercato di scrivere per “Wendy” è quella che esplora sentimenti complicati e talvolta contrastanti, che si trova in una situazione emotiva a metà strada tra l’essere bloccato in una situazione e il volersi liberarsi da qualsiasi vincolo. C’è qualcosa nella narrazione di questa lotta e della perseveranza che spesso la attraverso che mi ha sempre attratto molto. “Will The Morning Come” è stata una delle prime canzoni che ho scritto per il disco e mi sembra la canzone d’amore più pura della tracklist, anche se in un modo strano. E’ una sorta di canzone in diretta, l’ho scritta subito dopo aver messo giù il telefono con la persona con cui avevo appena iniziato a uscire.

So che ami Bob Dylan. In che modo Dylan ti ha influenzato? E c’è un suo album che è stato più importante degli altri per la tua educazione?
Ho iniziato ad ascoltarlo fin da piccolo, ma è stato durante l’adolescenza che credo di aver davvero iniziato a connettermi con il sentimento più profondo presente nella sua musica. C’è una sorta di spazio spirituale che si lega all’intimità che ho provato ascoltando “Blood On The Tracks” o le registrazioni di “Basement Tapes” – ecco questi due dischi in particolare mi hanno sempre impressionato e col tempo sono diventati radicati nel mio essere. Anche se magari oggi non attingo direttamente da Dylan, sento le sue canzoni come una parte di me.

“Suddenly Rain” è una meraviglia senza tempo, con un testo davvero splendido. Come è nata questa canzone?
E’ nata come la maggior parte delle mie canzoni: si inizia con una serie di accordi e una melodia e gradualmente arrivano le parole. Nel caso di “Suddenly Rain” avevo le parole per il ritornello e in un secondo momento ho affrontato le strofe. Avevo una serie di parole e di immagini che sapevo di voler inserire nel testo, ma non sapevo bene quanto letterale o astratto volessi essere. Un pomeriggio d’autunno sono andato a casa della mia amica Maggie Millner e ci siamo seduti nel suo cortile per un paio d’ore e abbiamo lavorato insieme, finendo la canzone al tramonto.

Ecco, a questo proposito quanto è stata importante la collaborazione con la poetessa Maggie Millner per la dissezione poetica del tema dell’amore in “Wendy”?
Una delle cose fantastiche del lavorare con Maggie è che mi ha spinto in un luogo di franchezza e chiarezza narrativa che mi è piaciuto molto, pur non essendo il primo posto in cui andavo nella mia scrittura di testi. Questo processo mi è sembrato sia molto naturale che leggermente pericoloso, perché sono uscito dalla mia zona di comfort, ma l’ho fatto con qualcuno con cui ho avuto una lunga amicizia e una grande sovrapposizione di interessi letterari e musicali condivisi (entrambi amiamo Lucinda Williams per esempio). In quanto tale, non abbiamo mai veramente discusso di ciò che stavamo facendo da un punto di vista filosofico, ma abbiamo semplicemente seguito il brillante percorso davanti a noi.

 

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