Un imperdibile memoir che racconta la New York degli anni ottanta.
Nel 1981, quando Luciana e Stefano arrivano a New York, Manhattan è un’isola per buona parte violenta e inaccessibile, Downtown è il regno di spacciatori e prostitute, l’Alphabet City un crocevia dal quale è consigliabile stare alla larga se si tiene alla propria pelle. La gentrificazione e la tolleranza zero di Rudolph Giuliani arriveranno nel giro di qualche anno e Manhattan subirà un profondo intervento di chirurgia plastica, ma nel 1981 la vita in città è rumorosa, sporca e molto pericolosa; nei locali dei bianchi ci si dimena con le sezioni ritmiche pulsanti dei gruppi post-punk, mentre dalle strade dei quartieri neri si diffonde il verbo del rap; sempre dalla strada arriva il talento di giovani artisti come Jean-Michel Basquiat e Keith Haring, destinati a celebrare la vita e a morire giovanissimi inseguendo sogni e metropolitane, droghe e graffiti.
“Eravamo dei provinciali, arrivati dai confini dell’impero, giovani, inesperti, entusiasti, tutto ci sembrava più grande, più libero, più possibile”. Luciana e Stefano non sono convinti di voler rimanere ma più il tempo passa, più diventano abili nel trovare espedienti per (soprav)vivere con pochi soldi, in abitazioni rimediate all’ultimo momento, anche in condizioni di estremo disagio, e più si innamorano della città che non dorme mai. Con un tono delicato, il racconto procede attraverso aneddoti, incontri, pagine di diario, senza mai dimenticare il sorriso, la passione e l’amore, ciò che lega in modo indissolubile Luciana e Stefano, che presto iniziano ad essere soprannominati “la coppia” per l’abitudine di presentarsi sempre in due, qualsiasi sia l’occasione. “You are such a team”, dice loro Richard Gere, dopo una riuscitissima intervista one on one, mezzora con Luciana per L’Europeo e mezzora con Stefano per Il Messaggero. Perché in men che non si dica sono diventati giornalisti, corrispondenti, perché chi ha la voglia e la tenacia di realizzare il proprio sogno a New York negli anni ottanta può trovare il migliore dei milieu possibili. Raccontano l’America e l’America li adotta, hanno due figli e attraverso di loro imparano un nuovo modello educativo, una rieducazione americana che è, nelle parole di Stefano, “una rieducazione culturale, spontanea e inarrestabile, che ha toccato un po’ tutti i campi dell’etica ridando vigore e spina dorsale di stampo calvinista alla nostra sgusciante morale cattolica, pronta a qualsiasi compromesso”.