2025-03-21 – Stavolta la prendo un po’ alla larga, perché data la contingenza dell’argomento so già che presto il fianco a colpi di reazione. Niente paura, parole parole parole, cantava Mina. Una parola: sociale. Oggi generalmente distingue cose positive o che magari sono negative ma indossando questa parola potrebbero essere intese come positive. Ma quante persone ne sanno l’ etimo in italiano? Bisogna aver letto le novelle del Boccaccio, in cui il socio distingue il compagno che ti “frega”, che se non vuoi farti “fregare” occorre che lo “freghi” prima tu. Questo senso del fregare è rimasto fino ai giorni nostri, ricordo una mamma che diceva al figlio di non mettersi in società per non farsi fregare dai soci. Oggi però la parola è usata per indicare qualcosa di positivo, qualcosa che comunque “vorrebbe” tendere al bene comune, già “vorrebbe”, piccola digressione: “la volontà non è mai buona né tantomeno santa” (CB). Quindi meglio tutelarsi conoscendo la radice del Boccaccio, perché c’è il detto popolare: “ma la quercia può fare le mele?!”. Seconda parola: dittatura. Nell’etimo e nell’ utilizzo primo, la parola dittatura non era incompatibile con la parola democrazia, anzi poteva essere prevista in costituzione proprio per tutelare la democrazia in situazione di emergenza. Solo con la rivoluzione francese pare che abbia iniziato ad acquisire la sua accezione negativa come sinonimo di tirannia. Però dittatura è “poeticamente” sinonimo di dettatura, una maestra che fa, faceva il dettato era una de/dittatrice a fin di bene: per allenare alunni e alunne a scrivere e a leggere. Il senso utilizzato nel Manifesto di Ventotene, non ha niente a che fare con il senso tirannico, è invece da intendersi, data quella contingenza storica di emergenza ed estremamente precaria, con l’ impegno di persone a saper indirizzare e organizzare le diverse, addirittura antitetiche istanze corporative, settoriali, parziali verso un’unione degli intenti capace di manifestarsi in una compiuta democrazia. Quindi semmai la parola dittatura in quel testo è da intendersi nell’ accezione antica, come tutela di una auspicabile nascente democrazia in situazione di emergenza. Ora per venire all’ incidente contingente in Parlamento (parole parole parole) la Presidente del Consiglio estrapola qualche parola da quel Manifesto che figura nel sacrario del Senato della Repubblica per prendere le distanze da una contestazione di piazza. Prendere le distanze da quella contestazione è legittimo, ci mancherebbe, ma come l’ha fatto è indiscutibilmente sbagliato, non perché non si possa discutere un testo, il testo è il discutibile per eccellenza, ma perché estrapolare qualche parola qua e là da quel testo, così alla bisogna, sa di furbizia, ma di quella furbizia che si smaschera da sola. Non va bene suvvia, ed è anche una caduta di eleganza. Non si addice all’ eleganza della Signora Presidente, lei porta sempre molto bene i lussuosi vestiti di rappresentanza, segno che è dotata di una sua personale e verace eleganza. È solo che la Signora Presidente evidentemente ha modesti consiglieri parolai e questa volta l’hanno consigliata molto male e lei per un po’ di umana stanchezza li ha assecondati. Mi sa che è andata proprio così. Poi ha cercato di metterci una pezza ma così è diventa tutta una toppa.
Che nostalgia di Marco Pannella! Basterebbe un Pannella al 10% per smascherare l’idiozia politica dei traffichini. PS – Tutta la questione sul Manifesto di Ventotene testimonia inequivocabilmente solo una cosa: il livello di lettura e di interpretazione dei politici d’oggi è da analfabeti, non da analfabeti saggi come furono le mie nonne, da analfabeti ostinatamente gretti. Uno poi di questi che sedette a parlamentare e ora siede in telestudio di diffusione della deficienza e lo dicono pure filosofo fa tanto ribrezzo per ipocrisia che se fossi talmente ingenuo da tenerlo come misura del filosofare non potrei non detestare tutta la filosofia. La cosa che più preoccupa però non è tanto l’incapacità di lettura del senso minimo delle parole, ma quando questa è istantaneamente fissata, ripetuta dalle parti antagoniste composte da politici, giornalai con il loro codazzo di tifoseria tatuata fino al cervello. Ne deriva una gara nazionale di pallonara, impareggiabile deficienza.
(Maurizio Boldrini)