«Arrivato in spiaggia, avevo sentito la sabbia fredda sotto i miei piedi. Gli ombrelloni chiusi sembravano una distesa di croci sotto la luce sanguinolenta dell’alba. Mi ero tolto i vestiti ed ero rimasto in mutande, mentre mi avventuravo nell’acqua placida e limpidissima. Il sole stava emergendo dall’orizzonte, una palla di fuoco che sembrava incendiare il mare Adriatico. Avevo guardato il mio riflesso nell’acqua, il mio corpo magro, ossuto, glabro, per poi scorgere un pelo, nero e ispido, apparso all’improvviso sotto la mia ascella sinistra. Sto diventando un uomo, avevo pensato mentre mi immergevo lentamente».
Ambientato nell’estate del 1994 in una cittadina della costa adriatica dove il mare respira dentro ognuno dei personaggi, dove le estati sembrano non finire mai e una palla a spicchi può essere sia dannazione che salvezza, “San Maledetto del Tronto” è un romanzo di formazione che racconta quel periodo di tempo irripetibile che precede l’ingresso nell’adolescenza vera e propria, l’inizio delle scuole superiori, quel limbo sospeso nel quale non si è più bambini ma nemmeno young adults.
Figlio di genitori separati, Valerio sceglie di lasciare Roma e di vivere con suo padre a San Maledetto, dove frequenta la terza media e passa il tempo libero a giocare a basket nel playground del Las Vegas. Proprio alle spalle del campo sorge un misterioso edificio pieno di graffiti, frequentato da gente poco raccomandabile: si tratta di un centro sociale occupato, da lì arriva una musica bellissima e ogni tanto si vede una ragazza con le sembianze di un angelo perduto, Veronica. Valerio non conosce l’amore ma sa riconoscere un angelo, così inizia uno scomposto ma ostinato percorso di avvicinamento a Veronica e finisce per diventare suo amico. Sullo sfondo si intravede la Storia del nostro Paese, la fine della Prima Repubblica, l’arrivo di Berlusconi e l’inizio di quell’irreversibile e vischiosa decadenza da cui ancora oggi fatichiamo a riemergere.
Per il suo esordio letterario il sambenedettese (ma residente da anni all’estero) Claudio Palestini si affida ad un tono tenero e accogliente e regala al suo protagonista una prima persona in grado di contenerne i sogni e le titubanze, la rabbia e il dolore; fa sue le lezioni di giovanilismo di Andrea Pazienza e Enrico Brizzi (e, perché no, di Bret Easton Ellis) e le declina in una lingua controllata ma viva, precisa e allo stesso tempo molto musicale. Proprio la musica è l’elemento aggiunto del libro: i Nirvana, i R.E.M., i Nine Inch Nails, i Green Day e… i Lemonheads, il gruppo cult di alcuni dei personaggi del libro, fungono da ideale colonna sonora alle gesta degli adolescenti di San Maledetto.
Abbiamo rivolto alcune domande all’autore.
Come è nata l’idea di “San Maledetto del Tronto”?
“San Maledetto del Tronto” è un libro che avevo dentro da tanto tempo ma che non era mai riuscito a trovare una forma. L’atmosfera era lì da tempo, ma mancava una storia, un percorso, un personaggio che potesse attraversare questa atmosfera. Durante le vacanze natalizie tra il 2023 e il 2024 ho incontrato un amico e le sue vicende personali mi hanno dato l’illuminazione. La sua esperienza ha fatto scattare qualcosa, e da lì è nato Valerio, il protagonista, che è un po’ lui, un po’ me. A quel punto la scrittura è venuta fuori di getto. Ho scritto il romanzo tra gennaio e settembre 2024, con un’immediatezza e una facilità che mi hanno decisamente sorpreso.
Sin dal titolo il romanzo lascia trapelare un sentimento ambivalente nei confronti della tua città natale. Alla fine dei conti per i personaggi a prevalere sono gli aspetti positivi o quelli negativi di San Benedetto?
Non è semplice rispondere a questa domanda. Ognuno di noi ha un rapporto di amore e odio nei confronti della sua città natale. E penso che questi sentimenti contrastanti vengano fuori nel romanzo. Il titolo stesso, “San Maledetto del Tronto”, gioca su questo doppio registro: un omaggio e una provocazione. La San Benedetto del 1994 che racconto è una città di provincia familiare, confortevole, perfino rassicurante. Ma, allo stesso tempo, può anche essere chiusa, impietosa, brutale. Credo che i personaggi sentano entrambe le cose: affetto e insofferenza. Spero che questa ambivalenza venga fuori dal racconto.
Il titolo c’era sin dall’inizio oppure è venuto fuori in un secondo momento?
È arrivato abbastanza presto, durante la scrittura dei primi capitoli, quando mi è diventato chiaro che l’ambiente della città, il suo mare, la spiaggia, la squadra di calcio, erano molto più di una semplice ambientazione, ma veri e propri personaggi del romanzo.
“San Maledetto del Tronto” ha tutte le caratteristiche del romanzo di formazione. Quali sono i romanzi di formazione che più hanno segnato la tua vita di lettore?
Ho scritto “San Maledetto del Tronto” dopo aver terminato “Le Schegge” di Bret Easton Ellis. Anche se non è un vero e proprio romanzo di formazione, l’idea di ripercorrere le vicende dell’adolescenza mi ha particolarmente ispirato. Un altro riferimento esplicito è “Jim entra nel campo da basket” di Jim Carroll, che cito anche nel romanzo. Poi, nello stilare una lista, non posso non menzionare “About a boy” di Nick Hornby o “La fortezza della solitudine” di Jonathan Lethem, esempi di romanzi di formazione al limite della perfezione.
Il libro, ambientato nel 1994, racconta un’adolescenza che non c’è più. Oggi gli adolescenti hanno abitudini e stili di vita molto differenti da quelli dei protagonisti di “San Maledetto del Tronto”. Che effetto credi possa fare la lettura ad un quattordicenne di oggi?
Il mondo che racconto è analogico e pieno di attese. Si aspetta che qualcuno arrivi al campetto per un due contro due, senza appuntamenti, senza messaggi. La musica si ascolta sulle cassette, poi arrivano i primi CD. La conoscenza si trasmette con i racconti degli amici, dei fratelli più grandi, dei commessi dei negozi. Ma l’irrequietezza è universale. Oggi come allora. Forse un quattordicenne di oggi potrà riconoscersi proprio in quei momenti di disagio, in quella fame di emozioni e appartenenza.
Il romanzo segue Valerio, il protagonista, fino all’ingresso alle scuole superiori. Che tipo di adulto diventerà?
Non lo sappiamo, ma potrebbe essere un’idea per un sequel. Immagino che il rapporto con le ragazze potrebbe diventare un filone interessante da seguire, con tutte le sue contraddizioni, lungo le scuole superiori e poi all’università.
Un’ultima curiosità: hai scelto i Lemonheads, un gruppo che possiamo definire “minore” degli anni Novanta, per la colonna sonora del romanzo. A cosa è dovuta la scelta?
Evan Dando, il leader della band, era un adolescente bellissimo ma insoddisfatto. I temi che affrontava nelle sue canzoni avevano un tono malinconico ed erano intrise di delusione, confessioni introspettive, scene surreali, sfoghi nostalgici. Raccontava dei suoi rapporti strampalati con le ragazze. Mi sembrava che la storia della sua band, una parabola di grandi speranze e infiniti rimpianti, suonava bene con l’atmosfera del libro. C’è una canzone che si chiama “Being Around” che riflette perfettamente il modo in cui Valerio cerca di avvicinarsi alla ragazza che gli piace: con goffa discrezione, facendosi trovare nei paraggi, sperando di essere notato. “Se fossi in frigo, apriresti la porta? Se fossi l’erba, taglieresti il prato? Se fossi il tuo corpo, indosseresti ancora dei vestiti?” È una canzone ingenua e struggente, come l’adolescenza. E in sintonia con il mantra disilluso degli anni Novanta.