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“Fame” di Kevin Tancharoen

di | in: Recensioni

Ormai ci siamo, ci ritroviamo tutti gli amanti del grande schermo immersi nel cosiddetto “filone nostalgia”: l’epopea revival (generata negli Stati Uniti) è quanto mai attuale e caratterizza ormai le decisioni e le produzioni delle più importanti major cinematografiche spingendole verso una direzione dove imperano i remake e dove la ripetitività è decisamente protagonista. Prendendo spunto da serial televisivi di successo degli anni ’80 e ’90, o semplicemente riportando in auge capolavori del passato modificando per necessità ovvie solo il cast e pressappoco nulla della sceneggiatura, il trend attuale sembra annichilire la creatività, ignorando il processo di formazione di idee innovative e attraenti.

Il rischio che spesso si corre è che nonostante rari casi di successo, alla fine il remake finisca per subire un effetto boomerang, dove a discapito dell’aspettativa di un guadagno facile, in realtà il più delle volte si rivela un vero e proprio insuccesso al boxoffice, unico vero padre padrone dell’industria cinematografica. La storia purtroppo si è ripetuta anche per “Fame”, con incassi insoddisfacenti e con la nascente consapevolezza che si è persa l’ennesima possibilità di costruire un buon prodotto per i giovani che non si ispiri al disneyano “High School Musical” (dopo 4 settimane il box office USA ha sentenziato un incasso decisamente scarso di “soli” 30 milioni di dollari): “Fame” è il rifacimento del successo del 1980 diretto da Alan Parker, che come l’attuale narrava diviso in capitoli i 4 anni di sudore e audizione degli studenti di una famosa scuola, la New York City High School of Performing Arts, che fornisce sogni e aspettative troppe volte infrante dalla dura realtà quotidiana.

“Fame” sembra non aggiungere nulla di nuovo, e sebbene questo fosse lecito intuirlo dalla promozione low cost, fallisce proprio laddove invece avrebbe dovuto convincere: le coreografie sono poco brillanti, per nulla spettacolari e ad effetto, i solisti cantano brani che non rimangono nella mente complici anche delle voci banali e che non bucano lo schermo, mentre lo screenplay è troppo lento per un film che avrebbe dovuto fare del ritmo la propria forza. Se queste sono le lacune, ciò che invece non manca assolutamente in “Fame” è l’abbondanza di luoghi comuni e temi politically correct forse scandalosi per gli anni ’80 ma che qui sembrano solo pronti a non scontentare nessuno: vi sono le abusate politiche contro le discriminazioni razziali, i temi dell’emarginazione sociale e i soliti conflitti generazionali padre-madre/figli che ovviamente finiscono col risolversi positivamente nel più noioso degli happy ending.




21 Ottobre 2009 alle 16:20 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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