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Agostino Palmisano “Taranto-Firenze: monologo dell’ultimo dei Pazzi”

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Renato è alla frutta. Preda di un rasserenato panico, consapevole che la sua ora è vicina. Renato è spacciato, schiacciato da Firenze. Lui è l’ultima testa da tagliare per eliminare il male alla radice, l’ultimo esponente di una famiglia che deve pagare con la pelle la ‘Congiura’ contro i Medici (ve la ricordate?). Lui è l’ultimo inutile ribelle, uno contro tutti.  In questi giorni di attesa “… ogni tanto faccio un sogno. Ogni tanto mi arriva una lettera che io stesso spedisco…” come lui stesso dice, cominciando con perfetta semplicità il racconto di Renato dei Pazzi poeta-precario che, nella Firenze moderna e progredita, vaga come eroe decadente nella quotidianità, si affaccia barcollando su una società che corre superficialmente sulle sue consuetudini.

I sogni che ci descrive segnano un raccordo critico tra ciò che di Firenze racconta e quello che, appannato e distorto, appare nelle immagini oniriche di Taranto. Non è un viaggio on the road, è la sua mente a viaggiare e vagare tra il sogno e un non-vissuto di cui ci rende partecipi mettendoci di fronte al suo monologo interiore. Al suo flusso di coscienza. Al suo fluire. Allo scivolare mestamente nelle giornate più anonime, dove fare della filosofia sulle piccole cose che lo accerchiano diventa occupazione quotidiana per riempire quel vuoto cosmico da cui è circondato e, probabilmente, è preda; è il suo raccontarsi nelle situazioni più comuni che lo mettono alle corde ma che, da grande poeta quale lui si sente, affronta indugiando sugli altri e su se stesso.

Renato partecipa così alla vita dei suoi amici, alle feste universitarie, crea disordine, beve birra, fuma sigarette, anche lui fa parte dell’ “esercito della disperazione” che cerca  lavoro nelle agenzie interinali; non risparmia nessuno, nemmeno se stesso quando, con profonda leggerezza, si auto infligge uno pseudo – sodomitico rapporto sessuale con una donna conosciuta là fuori, proprio lì dove il Monte Morello domina, proprio lì dove lo spirito del tempo è mutato e lì, dove, l’unica consolazione rimasta è l’attesa. Ma chi è il vero Renato? Quello  che è destinato a morire sotto i colpi della Firenze Medicea o il nuovo che si riconosce, forse, nel suo predecessore?

Il racconto ‘a solo’ di Renato che Agostino Palmisano ci presenta tocca, dunque, i temi attuali dei giovani e del precariato dove qui ‘precario’ è da intendersi anche a livello mentale: la decadenza generale, la perdita del passato storico, di una crisi che diventa perdita di valori e di un tramonto intellettuale che si traduce nella perdita di una coscienza sempre meno collettiva. Ricordando Spengler. L’autore allarga così il suo ‘atto di ribellione’ cominciato due anni fa con la pubblicazione della raccolta di poesie ‘Una volta ero strafatto’ continuando a percorrere i sentieri della critica sociale attraverso un linguaggio essenziale, duro, forse violento ma, mai, inutile e banale.


Luca Dell’Abate




14 Dicembre 2009 alle 20:52 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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