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Antonio Scurati “Il bambino che sognava la fine del mondo”

di | in: Recensioni

Paura, tanta paura. L’ultimo romanzo di Antonio Scurati, “Il bambino che sognava la fine del mondo” ci proietta, fin dal suo prologo, in un fluire di tensioni irrisolte, dove la catarsi appare impossibile e i margini della realtà si perdono in un flusso indefinibile di emozioni. Dopo il successo del romanzo a sfondo storico “Una storia romantica” (Bompiani 2007), Scurati si concede stavolta ai lettori con un testo che incrocia cronaca e finzione attraverso la combinazione di complessi livelli narrativi.

La storia è di quelle che non si dimenticano. A Bergamo, su un gruppo di maestre di una scuola materna piove l’accusa più terribile: pedofilia. I giornali e le tv divulgano la notizia creando la paura. Il terrore dilaga nella comunità, diviene una forza ormai incontrollabile.

L’io narrante (il protagonista, i cui particolari biografici si intrecciano spesso con quelli di Scurati) è un giornalista e scrittore chiamato dal quotidiano “La Stampa” a commentare un crimine divenuto ormai un caso nazionale. Lo sgomento collettivo, come un bacillo aerobico infetta gradualmente lo stesso protagonista, costretto a uscire dal ruolo di giornalista di cronaca nera per rivivere la storia della propria infanzia. Nella mente dell’io narrante cominciano ad emergere incubi e strani ricordi infantili: tra incertezze e dubbi si configura lentamente la consapevolezza di ciò che per troppo tempo ha tentato di ignorare.

Un processo faticoso di dura introspezione viene, così, contrapposto ad un lavoro giornalistico in grado di fabbricare solo emozioni usa e getta. Nel nome della spettacolarizzazione, i mezzi di comunicazione hanno finito per macchiarsi di crimini ben più gravi: ammazzare la realtà, generare suggestioni morbose, produrre mostri incontrollabili.

Trasformatosi in fabbrica del raccapriccio, il giornalismo contemporaneo alimenta, sistematicamente, il mercato della paura. Descrive il mondo come un immenso racconto di cronaca nera, dentro il quale tutti abbiamo un ruolo. Il protagonista-giornalista, con una scrittura brillantemente addestrata, quasi come in un reportage, registra i sintomi più evidenti di questo processo: circospezione, sospetti, isterismo collettivo.

C’è una sola verità, in fondo, in tutta questa storia: l’infanzia negata. Negata da un presunto crimine. Negata dal giornalismo-spettacolo. Negata dallo stesso protagonista che, ormai quasi quarantenne, ha rimosso il ricordo della propria infanzia e ha rinunciato ad avere figli. Un personaggio, quello del protagonista, cinico e materialista, diventa così lo specchio di una società priva di speranze e condannata alla paura. Un finale a sorpresa saprà aprire uno squarcio di speranza.

Nell’era dell’informazione spazzatura, anche un romanzo-verità, come quello di Scurati, può aiutarci a capire nel profondo la nostra realtà, di certo, meglio di quanto possa fare un telegiornale a corto di vera informazione.

Avevamo proprio bisogno di un libro così. Da leggere assolutamente.




24 Marzo 2010 alle 13:06 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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