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“Voglio che la mia musica sia immediata”: intervista a Willie Nile, l’impressionista del rock

di | in: Interviste

Willie Nile ed il nostro inviato Claudio Palestini


Willie Nile è uno di quei cantautori che hanno fatto la storia della musica rock al pari dei più grandi autori del firmamento a stelle e strisce. Paragonato per anni a gente come Bruce Springsteen e Bob Dylan, Willie Nile è riuscito comunque a creare il suo stile personale e rispettabile. A dispetto della sua statura minuta, è un uomo interessante, impegnato e orgoglioso della sua arte e della sua storia. Lo abbiamo incontrato prima del suo concerto al Teatro Zeppilli di Pieve di Cento.
Parliamo del tuo ultimo album “House of a Thousand Guitars”. Innanzitutto congratulazioni. E’ un grande album. La mia impressione è che sia diverso rispetto ai precedenti, soprattutto rispetto a “Streets of New York”. Credo che sia più immediato. Sembra che tu voglia suonare ciò che provi in quel preciso istante.
Esattamente, è quello che sento. E il nuovo album “The Innocent ones”, che uscirà in estate, è molto simile. E’ anch’esso molto immediato. Suonerò qualche canzone da questo nuovo album anche stasera.
A me sembra che ci sia una certa relazione tra l’elezione di Obama e questo cambiamento. Ti riconosci in questo? Come se il più riflessivo “Streets of New York” fosse il disco pre Obama e “House of a Thousand Guitars” il disco post Obama?
Si, anche. Le canzoni erano già scritte, e non erano legate a qualche particolare ragione esterna. Ma ad esempio, Give Me Tomorrow è perfettamente adatta all’elezione di Obama. Non l’ho scritta per questo, ognuno scrive per sè stesso e per quello che sente. Ma quando stavamo mixando l’album, due settimane prima delle elezioni, la gente che lavorava con me mi disse: “Devi mandare questo disco ad Obama”. E così abbiamo fatto. L’abbiamo mandato a Chicago, dove si trovava il suo ufficio, e la parte commerciale e promozionale del suo staff l’ha apprezzato molto. Ma non hanno potuto usarlo per la campagna perchè mancavano soltanto due settimane. Se solo fosse uscito qualche mese prima… Comunque, adoro tutti questi ultimi album. “Streets of New York”, “House of a Thousand Guitars”, ed ora “The Innocent ones”. Sono molto soddisfatto.
Nonostante il fatto che “House of a Thousand Guitars” sia stato inciso con due diverse band, l’album suona comunque armonico. Non si avverte questo cambio di band.
Assolutamente. Mentre lo registravamo, avevo paura che alla fine suonasse troppo frammentato. Ma dopo averlo ascoltato, sono rimasto sorpreso di come tutte le canzoni si incastrassero perfettamente.
Ho visto nelle tue canzoni molti riferimenti al Buddismo, al Dalai Lama. Sei interessato a queste cose?
Durante il college mi sono diplomato in filosofia, e anche durante l’università ho seguito molti corsi di filosofia. E mi sono sempre interessato allo Zen e ad altre pratiche. Ma non c’è un disegno premeditato quando scrivo. Le immagini che ho dentro si ripresentano così nelle canzoni. Ma mi sembra ragionevole. C’è quella mia canzone, “You gotta be a Buddha in a place like this”. E’ vero. Occorre essere un uomo saggio per vivere in questo mondo, per accettare i cambiamenti. Credo che sia vero. Ma non mi sento di appartenere a nessuna specifica religione.
Qual’è il tuo processo di scrittura?
Quello che succede spesso è che ho un’idea, un titolo, un accordo, un testo. O Frankie ha un’idea (ndr: Frankie Lee, è il batterista di Willie Nile). Spesso è un riff. La canzone “House of a Thousand Guitars” mi è venuta così. Avevo in mente il testo. “Run” allo stesso modo. E’ stato un approccio molto immediato. Avevo la chitarra in mano, ed il riff mi è venuto spontaneo. Altre volte è un giro di pianoforte. O addirittura alcune canzoni nascono mentre cammino per la strada. Ogni volta è diverso.
Quando componi, hai in mente una particolare audience?
No. Mi concentro sulla musica. Su cio’ che comunica. Voglio che sia il risultato finale sia il meglio che posso fare. Non ho mai pensato ad una particolare audience.
Anche perche’ hai un pubblico molto affezionato…
Si. Molto affezionato.
E sei interessato a sfruttare i nuovi media per arrivare ad un pubblico più ampio?
Si, è una cosa che mi interessa molto. Ma sono molto impegnato. Ora ho un nuovo management, credo che ci impegneremo di più nella promozione su internet. Ma, ti ripeto, il mio pubblico è così affezionato che sono comunque soddisfatto.
Ho letto da qualche parte che all’inizio eri più interessato alla poesia che non alla musica…
Sì, io nasco come scrittore. Poi ho iniziato a comporre musica. Ed ora tutto ciò che scrivo finisce nelle mie canzoni. Perchè alla fine la musica è divertimento. Forse scriverò un libro prima o poi, ma per il momento mi concentro di più sulla musica.
Cosa stai ascoltando ultimamente?
Il nuovo album di Jesse Malin è molto molto bello. Un grandissimo album. Uscirà ad aprile.
Mi piacciono i Marah. Ascolto molte cose diverse: gli Everly Brothers, Ray Charles quando sono in macchina.
Ramones, Arcade Fire, Coldplay, Killers, Gogol Bordello…
Il tuo rapporto con l’Italia? Sembra che tu abbia un feeling particolare con questa nazione…
Il cibo è ottimo, le locations sono magnifiche. Mi piace suonare qui. E a luglio tornerò di nuovo.
Altri dieci concerti. La gente qui è molto calorosa. Italia, Spagna, Regno Unito, forse l’Olanda.
Mi piace venire in Europa più spesso che posso. Negli Stati Uniti ci sono pubblici ottimi, ma qui è diverso.

La gente apprezza maggiormente. E poi mi diverto di più a venire in Europa. Vedere posti dove

non sono mai stato.

di Claudio Palestini



Willie Nile è uno di quei cantautori che ha fatto la storia della musica rock al pari dei più grandi autori del firmamento a stelle e strisce. Paragonato per anni a gente come Bruce Springsteen e Bob Dylan, Willie Nile è riuscito comunque a creare il suo stile personale e rispettabile. A dispetto della sua statura minuta, è un uomo interessante, impegnato e orgoglioso della sua arte e della sua storia. Lo abbiamo incontrato prima del suo concerto al Teatro Zeppilli di Pieve di Cento.


Parliamo del tuo ultimo album “House of a Thousand Guitars”. Innanzitutto congratulazioni. E’ un grande album. La mia impressione è che sia diverso rispetto ai precedenti, soprattutto rispetto a “Streets of New York”. Credo che sia più immediato. Sembra che tu voglia suonare ciò che provi in quel preciso istante.

Esattamente, è quello che sento. E il nuovo album “The Innocent ones”, che uscirà in estate, è molto simile. E’ anch’esso molto immediato. Suonerò qualche canzone da questo nuovo album anche stasera.


A me sembra che ci sia una certa relazione tra l’elezione di Obama e questo cambiamento. Ti riconosci in questo? Come se il più riflessivo “Streets of New York” fosse il disco pre Obama e “House of a Thousand Guitars” il disco post Obama?

Si, anche. Le canzoni erano già scritte, e non erano legate a qualche particolare ragione esterna. Ma ad esempio, Give Me Tomorrow è perfettamente adatta all’elezione di Obama. Non l’ho scritta per questo, ognuno scrive per sè stesso e per quello che sente. Ma quando stavamo mixando l’album, due settimane prima delle elezioni, la gente che lavorava con me mi disse: “Devi mandare questo disco ad Obama”. E così abbiamo fatto. L’abbiamo mandato a Chicago, dove si trovava il suo ufficio, e la parte commerciale e promozionale del suo staff l’ha apprezzato molto. Ma non hanno potuto usarlo per la campagna perchè mancavano soltanto due settimane. Se solo fosse uscito qualche mese prima… Comunque, adoro tutti questi ultimi album. “Streets of New York”, “House of a Thousand Guitars”, ed ora “The Innocent ones”. Sono molto soddisfatto.


Nonostante il fatto che “House of a Thousand Guitars” sia stato inciso con due diverse band, l’album suona comunque armonico. Non si avverte questo cambio di band.

Assolutamente. Mentre lo registravamo, avevo paura che alla fine suonasse troppo frammentato. Ma dopo averlo ascoltato, sono rimasto sorpreso di come tutte le canzoni si incastrassero perfettamente.


Ho visto nelle tue canzoni molti riferimenti al Buddismo, al Dalai Lama. Sei interessato a queste cose?

Durante il college mi sono diplomato in filosofia, e anche durante l’università ho seguito molti corsi di filosofia. E mi sono sempre interessato allo Zen e ad altre pratiche. Ma non c’è un disegno premeditato quando scrivo. Le immagini che ho dentro si ripresentano così nelle canzoni. Ma mi sembra ragionevole. C’è quella mia canzone, “You gotta be a Buddha in a place like this”. E’ vero. Occorre essere un uomo saggio per vivere in questo mondo, per accettare i cambiamenti. Credo che sia vero. Ma non mi sento di appartenere a nessuna specifica religione.


Qual’è il tuo processo di scrittura?

Quello che succede spesso è che ho un’idea, un titolo, un accordo, un testo. O Frankie ha un’idea (ndr: Frankie Lee, è il batterista di Willie Nile). Spesso è un riff. La canzone “House of a Thousand Guitars” mi è venuta così. Avevo in mente il testo. “Run” allo stesso modo. E’ stato un approccio molto immediato. Avevo la chitarra in mano, ed il riff mi è venuto spontaneo. Altre volte è un giro di pianoforte. O addirittura alcune canzoni nascono mentre cammino per la strada. Ogni volta è diverso.


Quando componi, hai in mente una particolare audience?

No. Mi concentro sulla musica. Su cio’ che comunica. Voglio che sia il risultato finale sia il meglio che posso fare. Non ho mai pensato ad una particolare audience.


Anche perché hai un pubblico molto affezionato…

Si. Molto affezionato.


E sei interessato a sfruttare i nuovi media per arrivare ad un pubblico più ampio?

Sì, è una cosa che mi interessa molto. Ma sono molto impegnato. Ora ho un nuovo management, credo che ci impegneremo di più nella promozione su internet. Ma, ti ripeto, il mio pubblico è così affezionato che sono comunque soddisfatto.


Ho letto da qualche parte che all’inizio eri più interessato alla poesia che non alla musica…

Sì, io nasco come scrittore. Poi ho iniziato a comporre musica. Ed ora tutto ciò che scrivo finisce nelle mie canzoni. Perchè alla fine la musica è divertimento. Forse scriverò un libro prima o poi, ma per il momento mi concentro di più sulla musica.


Cosa stai ascoltando ultimamente?

Il nuovo album di Jesse Malin è molto molto bello. Un grandissimo album. Uscirà ad aprile.

Mi piacciono i Marah. Ascolto molte cose diverse: gli Everly Brothers, Ray Charles quando sono in macchina. Ramones, Arcade Fire, Coldplay, Killers, Gogol Bordello…


Il tuo rapporto con l’Italia? Sembra che tu abbia un feeling particolare con questa nazione…

Il cibo è ottimo, le locations sono magnifiche. Mi piace suonare qui. E a luglio tornerò di nuovo.

Altri dieci concerti. La gente qui è molto calorosa. Italia, Spagna, Regno Unito, forse l’Olanda.

Mi piace venire in Europa più spesso che posso. Negli Stati Uniti ci sono pubblici ottimi, ma qui è diverso.

La gente apprezza maggiormente. E poi mi diverto di più a venire in Europa. Vedere posti dove non sono mai stato.







17 Aprile 2010 alle 11:04 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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