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Fotovoltaico nelle campagne. Il lamento di un’imprenditoria con la testa nel passato

di | in: Cronaca e Attualità, dal Piceno

La posizione del Tavolo Piceno sulla Green Economy in risposta a Confindustria Ascoli


ASCOLI PICENO – A leggere le dichiarazioni   della Confindustria Ascoli, che affida a Giovanni Cimini, presidente della Sezione Energia, il compito di accusare di arretratezza  soprattutto la Provincia di Ascoli Piceno per aver regolamentato l’installazione dei pannelli fotovoltaici nelle campagne, viene spontanea una domanda: è questa l’imprenditoria picena del futuro, quella che dovrebbe  vedere il territorio  come una risorsa e non come  semplice punto di appoggio per le proprie attività da realizzare secondo il criterio  del suo massimo ed immediato profitto?

Colpisce – e non lascia ben sperare-   che siano propri gli industriali della Green Economy a rimproverare le istituzioni di aver fatto il loro dovere, di aver ascoltato i bisogni espressi    da cittadini,  amministratori comunali,  imprenditori ed associazioni agricole e turistiche; di aver tutelato le qualità del territorio  e per questo di aver indirizzato l’installazione dei pannelli, come avviene in tutta l’Europa più avanzata,  verso  aree idonee  (nuove abitazioni, zone e capannoni industriali, aree di sosta),  limitandone le possibilità di impianto nelle zone rurali.

Sono questi industriali, che più di altri dicono   di credere nella ricerca, a sostenere  che  la regolamentazione danneggia l’innovazione delle industrie “green” del Piceno: forse  perché ora è possibile fare gli impianti che si vuole  ma non si possono spandere “a caso” nelle campagne   fotovoltaico per 850 milioni di euro, equivalenti ad almeno 250/300 ettari? Ma dov’è l’ innovazione in tale operazione, visto che il tutto consiste nell’ installare pannelli progettati e fabbricati altrove,  tecnologicamente arretrati, che la Germania non usa più   e ricolloca  nell’Europa del Sud? Qual è l’apporto originale e creativo dell’industria picena?  Quale  know how, quale occupazione seria e duratura ci può essere per gli installatori ed i  manutentori di  tali sistemi  tecnologici,  superati e  fuori mercato?

E sono sempre  questi industriali, che più di altri dicono di credere nel sistema locale, nel valore aggiunto  delle sue qualità naturali, agroalimentari,  culturali e paesaggistiche,  a lamentare che la mancata disseminazione nelle campagne picene  di  centinaia di ettari di pannelli  produca un grave danno all’agricoltura. Come sanno gli agricoltori, ben altro richiede la grave crisi del settore; interventi che gli ridiano vita anziché speculare sul corpo del moribondo; interventi che non uccidano  chi cerca di reagire. Come le centinaia di aziende agricole, impaurite e talvolta disperate proprio per quei campi di pannelli che spuntano ovunque, che sterilizzano il terreno,  deturpano il paesaggio  a ridosso di agriturismi, a confine di coltivazioni biologiche e tipiche,  in aree panoramiche, sui crinali e vicino a monumenti, mettendo in crisi irreversibile investimenti, lavoro, prodotti tipici, turismi, futuro della nuova agricoltura.

Dov’è la madre di una vera “economia verde”: nella terra, in chi la coltiva e valorizza le sue risorse  o nei facili profitti degli installatori di pannelli?

Perché, a guardar bene, questo è il punto: dietro la febbre di disseminare subito quanto più fotovoltaico possibile nelle campagne, anziché sui capannoni ed  in altre zone idonee, ci sono gli incentivi statali, da sfruttare comunque e rapidamente perché presto finiranno,  e c’è il maggior utile dato dai suoli agricoli,  meno costosi  e più disponibili  rispetto ad altre aree.

Ed allora, altro che innovazione, altro che Obama!  Riempie di tristezza il constatarlo, ma purtroppo dietro la  green economy    aleggiano i  vecchi, soliti  “vizi” di quel capitalismo italiano, un po’ straccione ed un po’ arrogante, che succhia pubblici incentivi e guarda con ammirazione chi  “specula, intasca e fugge”.  Il capitalismo  che negli anni Sessanta e Settanta ha coperto la valle del Tronto di capannoni spesso mai utilizzati, nati    per intascare  i sussidi della Cassa del Mezzogiorno, o quello che negli ultimi decenni  ha delocalizzato o distrutto con  spregiudicate  operazioni finanziarie    industrie sane, ricche di saperi e capaci di stare sul mercato.  “Infischiandosene” altamente dei lavoratori, del territorio e di quel sistema locale di cui magari in qualche pubblico convegno confindustriale  aveva decantato  il ruolo strategico  e la centralità.


                                                                                    Olimpia Gobbi

                                                              componente del “Tavolo Piceno sulla Green Economy”

                                                               e della “Rete marchigiana di cittadinanza”




16 Agosto 2010 alle 21:54 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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