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Piccoli comuni: obbligo della gestione associata delle funzioni

di | in: Primo Piano

di  Roberto De Angelis*

  Sabato 25 settembre 2010 – Con la manovra estiva (decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122), i piccoli comuni si trovano ad affrontare, piacente o dolente, il tema della gestione associata di settori comunali. L’articolo 14 del DL 78/2010, infatti, dal comma 25 al comma 31, con la finalità di assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il contenimento delle spese, introduce per i piccoli comuni, l’obbligo della gestione associata dell’esercizio delle funzioni fondamentali, incidendo sensibilmente sull’assetto funzionale e organizzativo degli enti interessati. La gestione associata deve essere obbligatoriamente esercitata attraverso convenzione o unione per i comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti. Le funzioni sono obbligatoriamente esercitate in forma associata da parte dei comuni appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regionale e comunque inferiore a 3000 abitanti. La Regione, nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto della Costituzione, dovrà individuare con propria legge, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei comuni con dimensione territoriale inferiore a quella ottimale, delle funzioni fondamentali. I comuni dovranno assicurare il completamento dell’attuazione di tali disposizioni entro il termine individuato dal DPCM (non ancora emanato) e con il quale sarà stabilito il limite demografico minimo che l’insieme dei comuni saranno tenuti a raggiungere. I comuni non potranno comunque svolgere singolarmente le funzioni fondamentali e la medesima funzione non potrà essere svolta da più di una forma associativa. Queste le funzioni fondamentali provvisoriamente individuate: amministrazione, gestione e controllo (nella misura complessiva del 70% delle spese come certificate nell’ultimo conto del bilancio disponibile); polizia locale; istruzione pubblica; viabilità e trasporti; gestione del territorio e dell’ambiente e settore sociale.


Se l’intendimento del legislatore è poco chiaro, il percorso indicato lo è ancor di meno. Da un lato, infatti, spetta alla Regione individuare “con propria legge, previa concertazione con i Comuni interessati nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali”, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica, e i Comuni dovranno avviare l’esercizio associato entro il termine indicato dalla stessa legge. Dall’altro, però, agli stessi Comuni è fatto obbligo di completare “comunque” l’attuazione del percorso di attuazione delle disposizioni indicate entro il termine individuato con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e con il quale si fisserà il limite demografico minimo che l’insieme dei comuni associati dovranno raggiungere.


Al di la degli aspetti meramente applicativi delle disposizioni (ammesso che si possano definire applicabili) è facilmente rilevabile come simili articolazioni siano poco chiare ma soprattutto non congrue e coerenti con la volontà legislativa di assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il contenimento delle spese per l’esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni. Infatti si obbliga all’esercizio associato delle funzioni quando è stato rilevato (nella realtà marchigiana è stato refertato dalla Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per le Marche) che dal punto di vista strettamente finanziario le unioni registrano oggettivi incrementi dei costi di struttura e non sembrano produrre particolari economie di scala. D’altronde, nell’ultimo decennio, chi ha trovato modo o convenienza nel partecipare ad una unione o mettere in convenzione delle funzioni o servizi, lo ha fatto volontariamente. In altre parole, sembra che si voglia somministrare obbligatoriamente un farmaco la cui sperimentazione sia ancora dubbia e non sufficientemente testata. Altra cosa è cercare di far erogare servizi indispensabili in maniera più efficiente ed efficace o servizi aggiuntivi e funzionali al recupero di competitività rispetto ai Comuni più grandi, cosi come da sempre auspicano e tentano di perseguire diversi e seri amministratori, ma considerato che per tale obiettivo occorrono, in controtendenza agli obiettivi della manovra correttiva, maggiori risorse economiche, sarebbe stato più corretto lasciare alla sacrosanta facoltà degli amministratori di decidere se costituire unioni o deliberare convenzioni ottimizzando, dove fosse ancora possibile, le risorse umane e finanziarie.

 

Pertanto al Governo chiediamo che l’esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali, se tale forzatura deve proprio rimanere, sia graduale ed attuabile nel lungo periodo. Il processo della formazione delle unioni, in particolare, è un percorso complesso e articolato che richiede la massima prudenza e ponderazione. Forzare nei tempi e nei modi si rischia di vanificare i potenziali effetti positivi contenuti in questi strumenti istituzionali diffondendo una opinione distorta e negativa tra gli amministratori, il personale comunale e soprattutto tra i cittadini. E’ auspicabile che il termine ultimo di attuazione sia indicato dopo aver fatto chiarezza sui contenuti del federalismo fiscale programmato in avvio per il 2014. Il tema delle risorse non è un tema secondario. Non si può programmare senza risorse certe. Considerato che non si intravedono possibilità di incentivi finanziari in tal senso, chiediamo, allora, di emanare provvedimenti in deroga al blocco del personale e l’eliminazione dei vincoli ragionieristici, lesivi dell’autonomia finanziaria, posti, da ultimo, nella manovra correttiva. Al Governo chiediamo, altresì, di emanare delle linee guida per l’attuazione dell’esercizio obbligato delle funzioni fondamentali.


D’altro canto, chiediamo alla Regione, per quanto di competenza, interventi meno invasivi possibili da concertare attraverso un tavolo tecnico per fare chiarezza su aspetti di ordine giuridico-amministrativo dell’assetto istituzionale territoriale a partire dal ruolo delle comunità montane, degli ambiti territoriali esistenti, del rapporto eventuale con le Province, degli eventuali incentivi o forme premianti a favore dell’associazionismo, dall’elaborazione di disciplinari tipo per unioni e convenzioni partendo dalle esperienze migliori, dall’individuazione di griglie per misurare le performance delle forme associative, dal rilancio di specifici accordi di programma (se del caso) all’individuazione di costi standard da perseguire nel medio e lungo periodo attraverso tali forme associative. A complicare il quadro di alcuni piccoli comuni sono anche le disposizioni che prevedono l’abrogazione dei consorzi e la liquidazione delle società comunali: aspetti che si dovranno tenere in debito conto nella riorganizzazione dei piccoli comuni. E’ dunque necessario chiarire lealmente percorsi, compiti, responsabilità, concentrando l’attenzione su quanto è opportuno che i piccoli comuni facciano (o non facciano) nelle more degli adempimenti regionali e statali. E’ peraltro prioritario entrare nel merito del richiamo alle “funzioni fondamentali”, così come individuate dalla legge n. 42/2009 (non del tutto convincenti), ed è altrettanto indispensabile valutare l’impatto delle diverse disposizioni della “manovra” sulle forme associative fin qui operanti (unioni, comunità montane, consorzi, convenzioni). La relazione del nostro coordinatore nazionale dei Piccoli Comuni avv. Mauro Guerra ed il documento finale elaborato a Riccione in occasione della X Conferenza Nazionale dei Piccoli Comuni dell’ANCI sono molto chiari e puntuali per chi volesse intendere.


*Sindaco di Cossignano

Coordinatore Piccoli Comuni ANCI Marche

klikka gli allegati

Riccione – Bozza documento finale

Riccione – Relazione di Mauro Guerra




30 Settembre 2010 alle 20:20 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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