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“Hereafter” di Clint Eastwood

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Hereafter


Quella di Clint Eastwood è una filmografia fitta e, da qualche anno, imprescindibile. La misura dei toni, i dialoghi semplici e penetranti, la fotografia che trasuda calore, la musica dolente e minimale sono, da “Mystic River” in poi, i tratti distintivi di un fare cinema crepuscolare che è divenuto una delle vie più autentiche per rappresentare questi anni capaci di abortire ogni slancio vitale. “Mystic River”, “Million Dollar Baby”, “Gran Torino” (leggi la recensione), “Hereafter”, messi uno vicino all’altro, mostrano un tempo, il nostro, sferzato dalla soffocante sensazione di fine imminente.

Partendo da una sceneggiatura originale di Peter Morgan, Eastwood in “Hereafter” si addentra come mai prima nel tema della morte, letteralmente la tocca. George (Matt Damon) è un sensitivo che riesce a mettersi in contatto con l’aldilà mediante una stretta di mano. La sua storia si intreccia con quella di Marie (Cécile De France), giornalista francese sopravvissuta allo tsunami mentre si trova per lavoro in Thailandia, non prima di aver sperimentato un’esperienza di pre-morte, e con quella di Marcus (George McLaren), ragazzino inglese a cui muore il fratello e che, per il tramite dell’aldilà, scampa miracolosamente all’attentato alla stazione di Charing Cross del 2005. Nel malinconico disciogliersi della Storia nella storia dei tre protagonisti la grazia del regista trova la spinta a tendersi e a farsi punto di forza. Le solitudini di chi è rimasto vivo, contrapposte alle serenità di chi è passato aldilà, sono mostrate come vivide promesse di pacificazione. L’after trascolora nell’here e viceversa, pre e post, vita e morte, solitudine e amore posseggono confini fragilissimi, giocati sul filo del paranormale. E’ la chiave di volta – laica – del film. Non c’è l’ombra di una risposta, di domande tante. Il regista non cerca mai, nemmeno nel finale (zuccheroso), di essere rassicurante né cede al ricatto del patetico, cosa tutt’altro che scontata considerando le tematiche trattate. Si affida, questo sì, ad un velo di melò e ad un certo tipo di letterarietà alla francese (Lelouch?), si dilunga un po’ e si ricorda di piazzare un pizzico dell’inconfondibile sarcasmo di fabbrica solo nelle divertenti sequenze in cui Marcus incontra una serie di medium ciarlatani. 
Se la saga senza speranza di “Mystic River” e le parabole amare di “Million Dollar Baby” e “Gran Torino” avevano settato la perfezione del cinema del nuovo millennio, “Hereafter” manca il risultato assoluto ma racconta, con un abbandono mai totale all’ineluttabilità del fato, un triplice inno alla vita in cui non ci sono dogmi, dove sono sempre le sfumature a prevalere. Iñárritu avrebbe esasperato i toni in un polpettone virulento e stucchevole, Eastwood tratta la morte con raro garbo, ne lascia intravedere i misteri con l’obiettivo di far riflettere sui limiti della nostra (voglia di) conoscenza, con tanta troppa flemma ma anche col massimo rispetto per i suoi personaggi e le loro storie di dolore. Senza rispondere. Senza nemmeno parlare di paradiso.




24 Gennaio 2011 alle 8:50 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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