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L’Amleto secondo Ximo Flores: ritratto di una famiglia di oggi

di | in: Primo Piano, Recensioni

Ximo Flores, Hamlet retrato de familia

di Emanuela Sabbatini


VALENCIA – Vociare in sala. Luce tenue. Suono costante e greve, basso, sul fondo. Il sipario è ancora chiuso ma una chitarra acustica è posata per terra nell’angolo destro del palcoscenico. Due palchi minori, uno a destra e l’altro a sinistra cingono il principale. Una formazione musicale minimale prende posto su quello di destra. Voce femminile, synth, notebook, chitarra elettrica. Sono gli Opus Nigrum, progetto musicale che mischia gotico e neoclassico.

Sull’altro palco un uomo sembra sfogliare maniacalmente dei documenti sotto la flebile luce di una lampada da tavolo. Al suo lato, una bottiglia di liquore.

Nel frattempo la gente continua a prendere posto. L’atmosfera è oscura, tesa. Il suono greve sfocia in un sussurro di parole incomprensibili che si vanno pian piano acclarando. É latino.

L’uomo si accende una sigaretta. Gli abiti sono pressoché moderni. Se c’era qualche dubbio sulla sua presenza in scena ora è irrimediabilmente sciolto; è parte integrante di essa, un indizio che ci fa presagire che lo spettacolo è già iniziato. Eppure il codice teatrale non lo ha dichiarato ancora avviato. Continua il vociare in sala. Le luci si spengono, la voce si fa più forte e raggiunge il centro della scena. Il pubblico in sala si ferma.

L’Hamlet di Ximo Flores è iniziato.

Della tragedia di Shakespeare nella sua lettura tradizionale è rimasto poco. Si mastica un cibo preparato secondo canoni da nouvelle cuisine: Amleto è un eroe dei nostri giorni in anfibi e t-shirt dei Nirvana che si intrattiene con gli amici giocando ad una emblematica simulazione di guerra alla Play Station. Il potere e le dinamiche familiari sono intrise dell’oscurantismo di un regime totalitario che si respira per tutta la durata dello spettacolo; bretelle, anfibi, atmosfere da terzo Reich. La servitù, impersonata da donne-bestie in vesti androgine, come un cane rabbioso, inchina il capo al potente di turno. L’amore quasi angelicato della penna del poeta inglese si sporca di passione e di sensuale desiderio, sia esso di vita che di morte.

Le scelte di Flores sembrano fondere assieme stili e tempi diversi. Se per un verso infatti il testo teatrale non sembra essere stato stravolto per quanto concerne la letterarietà, la regia opera scelte interessanti ed audaci per la resa di passi narrativi cruciali. Il fantasma del padre di Amleto si rivela sempre attraverso installazioni video che mescolano elementi della videoarte a confessioni in asfissianti primi piani stile real tv. Allo stesso modo il celebre monologo shakespeariano assume un’interessante forma nel video che monta in sequenza foto di cadaveri coperti da lenzuola. Un movimento che viene creato attraverso una concatenazione di immobilità, o di mobilità portate all’estremo nell’attimo eterno della morte, il non essere, la fine.

Anche lo spettacolo teatrale che Amleto utilizza per smascherare il misfatto commesso dallo zio, viene attualizzato e sostituito dalla proiezione di un film. “Il teatro è l’inganno che rivela la realtà” recita il Principe di Danimarca; nella resa di Flores il confine tra le arti diventa terra di nessuno. Il suo Amleto è sì un’opera teatrale ma che mescola stili espressivi differenti avvalendosi ora del video, ora della simulazione di realtà cara all’informatica, ora della figurazione più propriamente artistica. E questo passaggio ci appare tanto più chiaro quando la morte di Ofelia, che si lascia annegare in una vasca da bagno circondata da candele accese, quasi fosse un atto sacrale e intimo, viene iperbolizzata dalla ripresa del suo volto morente proiettato dallo schermo alle spalle degli attori. Una commistione tra teatro, cinema e televisione.

Il ritratto di famiglia che sapientemente traccia Ximo Flores è un’opera moderna, che non può più essere realizzata con colori, pennelli e tela. La realtà sfonda la cornice, sia essa epocale o tradizionalmente teatrale.

Il tormento dell’eroe è assieme a quello narrativo, un tormento generazionale, etico e politico, romantico e sociale. Una risposta alla crisi dei nostri tempi, prodotta, parafrasando Gramsci, perchè il vecchio muore e il nuovo ancora deve nascere.

L’Amleto non è un giovane etereo seppur ribelle. Hamlet secondo Flores è uno di oggi, che per contrasto, si sporca le mani con la virtualità del videogioco e rifiuta la guerra dei padri, grida col rumore del grunge e si innamora dei silenzi di Ofelia.

La famiglia è luogo di intenti, di rovinose disfatte e infine di morte.

In un Paese come la Spagna che accanto alle consolidate tradizioni cattoliche ha saputo adottare politiche sociali in grado di rivisitare il concetto stesso di famiglia, il lavoro di Flores si colloca come una anafora. Sottolinea, ripetendo e riformulando in termini più propri al suo tempo quanto Shakespeare aveva fatto secoli or sono: la pochezza e il frastorno di un essere che non sa se lottare contro il marcio di una realtà stilizzata nel microcosmo familiare ma che abbraccia il macrocosmo politico-nazionale o abbandonarsi alla morte, all’inazione, a volte molto più nobile del cincischiare della vita.


Hamlet, retrato de familia. Regia di Ximo Flores

Teatro Rialto, Valencia.

Galleria fotografica © 2011 www.ilmascalzone.it – foto E. Sabbatini




24 Maggio 2011 alle 22:02 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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