Benvenuto e Buona Navigazione, sono le ore 04:59 di Ven 3 Mag 2024

La Bohème sessantottina che parla ai giovani

di | in: Recensioni

Bohème

Dopo Ken Russel, a rivisitare l’opera pucciniana arriva Leo Muscato


2012-08-11 – A Macerata aveva fatto storia quella di Ken Russel, quando nel 1984 era approdata allo Sferisterio sommersa dalle polemiche e divenendo, a torto o a ragione, oggetto dei riflettori del mondo della lirica. Oggi, La Bohème di Puccini torna nell’arena più bella del centro Italia non senza qualche ombra di polemica. Abbiamo assistito all’opera venerdì sera.

Non siamo più nella Parigi del 1830, anni quelli di fermento culturale in cui si preparano i moti del ‘48, ma all’ombra della Tour Eiffel nel 1968. Un fervore analogo, sebbene a cambiare siano i colori e le ambientazioni. Psichedelia e zebrato, colori alla tecnicolor e pantaloni zebrati ed ecco che la Bohème cambia volto. Chitarra elettrica per il musicista Schaunard, spazzolone per il pittore Marcello, libri in un carrellino per il filosofo Colline e macchina da scrivere per il poeta Rodolfo: si trasformano così i personaggi, quasi quattro universitari in una soffitta rimediata, fredda e paradossalmente (si ricorda che siamo nel 1968 secondo l’ambientazione) ancora illuminata a luce di candela.

Il libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica viene mantenuto intatto e lo stesso può dirsi della musica. Nei quattro quadri che compongono l’opera, il regista pugliese Leo Muscato tenta di condensare tutta l’esperienza del teatro di prosa, di rendere rediviva e respirabile l’atmosfera del teatro Valle, e di parlare ai giovani d’oggi. Muscato sembra essere dunque perfettamente in linea con l’idea della lirica secondo messieur Micheli, direttore artistico dello Sferisterio Opera Festival.

Una scenografia che è un colpo d’occhio e che ad eccezione forse del terzo quadro, quello che ci apre allo scenario delle fonderie d’Enfer occupate e con tanto di poliziotti in assetto antisommossa, diviene luogo vivo e vitale, utilizzabile dell’opera. Dalla soffitta illuminata dal chiarore del faro lunare, al bellissimo party un po’ Broadway style e un po’ circense del Cafè Momus, dalle inferriate della fabbrica con affissi gli striscioni di protesta, alla soffitta bianca svuotata da ogni affetto, sino all’asettico scenario ospedaliero, tutto parla di una Bohème rivista, che cerca ancora oggi di comunicare la forza detonante di quella “giovinezza che ha una sola stagione” come sosteneva Henri Murger.

Ma forse a sopirsi un po’ è per un verso la carica emozionale del sentimento amoroso tra Rodolfo e Mimì, soffocato dal rumore visivo così prepotente sulla scena. Per un altro, viene forse levigata la granulatura della vita bohemiene che si perde dietro un sessantotto evocato ma mai veramente attivo e una scelta forse poco in linea con il senso del testo stesso. Mimì muore di tisi nella storia originale, pare per le esalazioni della fabbrica nella rivisitazione di Muscato, e non, da perfetta bohemien in un gelido giaciglio della soffitta con cui si apre l’opera, ma in un letto d’ospedale, circondata da medici e da infermieri, lontana dalle braccia di Rodolfo. Il finale perde dunque molta della sua carica tragica e questo indubbiamente pesa sul bilancio dell’opera.

Gli spettatori tuttavia non sono scevri di applausi e pochi sembrano essere i dissensi. L’opera rivista da Muscato funziona. Complessivamente buona la prova delle voci, tutte perfettamente all’altezza dei ruoli. Ottima l’esecuzione dei musicisti e gli applausi sono anche per la splendida direzione d’orchestra del maestro Paolo Arrivabeni.




12 Agosto 2012 alle 22:13 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |
Tags:

Ricerca personalizzata