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Grant-Lee Phillips “Walking In The Green Corn”

di | in: Primo Piano, Recensioni

Grant-Lee Phillips “Walking In The Green Corn” (2012)


Etichetta: Autoprodotto
Brani: Vanishing Song / Great Horned Owl / Buffalo Hearts / The Straighten Outer / Fools Gold / Silent Arrow / Bound To This World / Thunderbird / Black Horses In The Yellow Sky / Walking In The Green Corn


Non avrete mica perso di vista Grant-Lee Phillips negli ultimi anni? Dopo lo scioglimento dei Grant Lee Buffalo il nostro ha iniziato una carriera solista caratterizzata da cromie sempre nuove pur rimanendo abbracciato all’autenticità del suono della sua America. Phillips ha sangue nativo e con il nuovo album sembra voler esplorare nel profondo le sue origini. “Walking In The Green Corn”, autofinanziato con il contributo dei fan, è un intimo ritratto di un’America che solo apparentemente non c’è più. Ad uno sguardo un po’ meno distratto certe distese, certi laghi della memoria, certi selvaggi e ombrosi boschi dello spirito riescono a materializzarsi ad ogni sosta.
Spesso accompagnato soltanto dalla chitarra, Phillips realizza un disco con alcune delle canzoni più nude mai scritte in vent’anni di carriera – per nudità si intenda sia l’audace introspezione dei testi sia gli arrangiamenti ridotti all’osso: un percorso into the wild che sarebbe piaciuto a Toureau, fatto di piccoli frammenti acustici strappati alla linfa di un continente alla ricerca del proprio lato primitivo. Non è un caso che alcuni episodi ricordino lo spoglio Eddie Vedder solista (Thunderbird, The Straighten Outer).


È la natura a parlare, accompagnandosi con melodie antiche e un ritmo sospeso, rallentato, ed è il rumore delle dita che scorrono sulla tastiera della chitarra acustica il segreto svelato delle dieci canzoni. Buffalo Hearts, Fools Gold, Bound To This World, Thunderbird sono fatte di emozioni bruciate vive, parole sussurrate nella pietra, accordi pizzicati con il soffio del vento. Tutto è pervaso da un naturalismo così limpidamente poetico che ogni cosa pare illuminata come se stesse ricevendo per la prima volta un raggio di sole: «woman, moving a cloud/dancing with the sun lights down/won’t you take me on the wind/if I could only fly somehow/only so much I can see/you’ll always be a mystery» canta in Thunderbird e attorno non si sente che l’eco dei propri pensieri. Così il disco procede felicemente pensoso fino alla fine, quando la visionaria Black Horses In The Yellow Sky e la title-track, younghiana tanto nella musica quanto nelle liriche («been a long time coming/been a long time to shore/welcome that harvest/got a world worth waiting for»), chiudono il cerchio sotto il marchio del talento. Dopo un disco così sentito e riuscito, non si può che sottoscrivere con sempre maggior forza quello che si sostiene da tempo: Grant-Lee Phillips è uno dei pochissimi eroi degli anni Novanta che sia riuscito ad accreditarsi nell’ultimo decennio come splendido solista.




2 Gennaio 2013 alle 17:18 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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