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Bill Clegg “90 giorni”

di | in: Primo Piano, Recensioni

Bill Clegg “90 giorni” (Il Saggiatore, 2013 – pag. 192; euro14)


“Mi sembra di avere di nuovo ventuno anni e di essermi appena trasferito a New York dal Connecticut. Sono perso, non ho un appartamento, nessun lavoro, nessuna famiglia, nessun compagno. Nessuno mi aspetta. Ogni finestra illuminata mi deride con il bagliore arrogante della vita invidiabile.”


Novanta giorni è il lasso di tempo che gli esperti di abusi di alcol e droghe utilizzano per indicare un livello apprezzabile di astinenza. Per il protagonista, alcolista e con una forte dipendenza dal crack, appena uscito da quattro settimane in una clinica di disintossicazione, raggiungere i novanta giorni è il lasciapassare per ritornare a vivere. Novanta giorni in cui dovrà evitare di ricontattare le persone care, di ricucire i rapporti, novanta giorni in cui non dovrà pensare a risolvere i problemi economici, in cui dovrà occuparsi soltanto della cosa più difficile: arrivare al novantesimo giorno pulito.
Quasi priva di dialoghi, svelata da una prima persona febbricitante, la vicenda non è che la seconda parte della cruda autobiografia di un agente letterario di successo: se “Ritratto di un tossico da giovane”, pubblicato da Einaudi nel 2011, rivelava la discesa agli inferi della tossicodipendenza, “ 90 giorni” racconta la difficile risalita. Senza la droga, Bill respira affannosamente, è pavido, sfuggente, perso in una ricerca senza fine. Le ricadute sono frequenti e violente, il conto dei giorni di astinenza si interrompe e riparte di continuo. Le giornate passate a barcamenarsi tra una riunione di gruppo e l’altra lo portano in contatto con tanti disperati impegnati come lui nel tentativo di tenere a freno la compulsione a farsi. Polly, maestra elementare cocainomane, Lotto, tossico impenitente con dodici tentativi falliti di ripulirsi presso altrettanti centri di disintossicazione, e Asa, giovane studente con un passato da eroinomane, sono figure esili, trasparenti, eppure dolci, bisognosi, degli angeli senza ali. Alcuni riusciranno a sconfiggere la voglia implacabile della roba, altri ne saranno sopraffatti.
Nonostante le ricadute Bill non taglia il prezioso filo che lo lega a quelle stanze, consapevole che se sei un tossico e conosci il sapore della morte “queste stanze e le persone che le frequentano sono la tua migliore opportunità” e un passo alla volta torna a vedere un orizzonte che non sia soltanto il marciapiede sul quale sfracellarsi, a inspirare ossigeno, ad amare e farsi perdonare. Attorno, vere e proprie coprotagoniste del romanzo, ci sono le strade di Manhattan – e del Village in particolare – con le loro tentazioni e le loro zone nere. Perché “è facile contare i giorni in un reparto psichiatrico o in un centro di recupero, meno facile è farlo in città”. E se è stato il crack a minare la sicurezza del tuo mondo e a far naufragare la tua vita, New York può essere la più claustrofobica delle città.




7 Febbraio 2013 alle 21:08 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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