Benvenuto e Buona Navigazione, sono le ore 17:05 di Lun 29 Apr 2024

Delusione elettorale: gli errori strategici della sinistra

di | in: Editoriali

Partito Democratico

All’interno della già bizzarra dialettica bersaniana davvero non si sentiva la mancanza dell’ultimo colpo di genio del «non abbiamo vinto, anche se siamo arrivati primi». Eppure è proprio così che è andata. Ammesso e non concesso che i sondaggi di questi mesi avessero un minimo di attendibilità, in poche settimane il Partito Democratico ha dilapidato un vantaggio enorme. Assunzioni di responsabilità non se ne sono sentite nel momento in cui, con una vittoria sicura sfumata in questo modo, un po’ di autocritica sarebbe stata oltremodo necessaria. Proviamo noi allora ad evidenziare brevemente alcuni errori strategici che non hanno permesso alla sinistra di vincere. Quattro soprattutto.
A novembre 2011 la fine del governo Berlusconi non è coincisa con un ritorno alle urne bensì, complice un passaggio di dubbia democraticità, con una sottomissione della politica ai dettami dei mercati internazionali. Dal più importante partito del Paese, in un momento di grande crisi, è normale aspettarsi la prontezza di prendere in mano la situazione, l’autorevolezza di provarci almeno. Spingere per andare a votare e raccogliere una vittoria allora sì certa. Bersani si sarebbe trovato in mano la patata bollente della più grande crisi economica del dopoguerra, ma la sua credibilità non sarebbe stata presa a sportellate come nei mesi di governo Monti, quando gli italiani hanno subito inermi un’austerità asfissiante. L’antipolitica, dall’arrivo dei tecnici, ha trovato il più forte dei suoi argomenti.

La seconda colpa del PD è da ricercare nella paura del nuovo. Il ricambio solo a parole e la strenua opposizione a Matteo Renzi la dicono lunga sulla vera spinta riformista dei retrivi vertici del partito. «Più delle Primarie cosa avrei dovuto fare», chiede Bersani. Avrebbe potuto rendere le Primarie un momento di scelta realmente libera, senza le inopportune ingerenze e le sgradevoli indicazioni di voto per il segretario da parte dei medesimi retrivi vertici.
Che le Primarie non siano state un vero esercizio di libertà è dimostrato anche dalle regole cavillose che hanno impedito a molti di votare al ballottaggio tra il segretario e Matteo Renzi. Il PD, qui sta il terzo imperdonabile errore, non ha saputo rivolgere il suo sguardo al di fuori della sua area politica. Ancorato a presunte posizioni di forza e con una smorfia di dileggio rivolta agli elettori del controdestra, non ha ritenuto necessario ampliare il proprio raggio d’azione, anzi ha per questo motivo duramente criticato il Sindaco di Firenze che ai voti dei berlusconiani delusi aveva capito di dover legittimamente ambire. Davvero i vertici sono stati così ingenui da credere, con il PD che storicamente aggancia soltanto un terzo dell’elettorato, di poter bastare a se stessi? C’è stato o no un clamoroso errore di valutazione? O si deve parlare di incapacità genetica di arrivare alla vittoria? Non so quale delle due ipotesi sia peggiore. Al pur rispettabile Bersani ieri il politologo Giovanni Sartori ha dato la più implacabile delle etichette: «un numero due». Eppure, contro il niente, al PD hanno pensato che non era necessario un candidato premier con la stoffa del leader, che fosse sufficiente un numero due. Il niente, in modo nemmeno troppo inatteso, si è riarmato. In tempi record peraltro. Berlusconi è letteralmente risorto proprio a partire dalle Primarie vinte dal segretario, rinfrancato dallo snobismo suicida dei suoi avversari, pronto a dare battaglia in una campagna elettorale nella quale, seppure con toni e mezzi dimessi rispetto ai suoi standard, ha schiacciato Bersani.

Il quarto errore è stato quello di non aver fatto di tutto, anche nei momenti in cui sembrava che ce ne fosse la possibilità, per trovare un accordo con il PDL per modificare la legge elettorale. Il vituperato Porcellum non era evidentemente considerato un ostacolo alla governabilità a fronte di sondaggi che assegnavano alla sinistra così tanti punti di distacco dagli avversari. Ma una legge elettorale concepita per un sistema bipolare non può essere funzionale ad un sistema che nel frattempo ha assistito alla candidatura di Mario Monti e soprattutto all’affermazione sempre maggiore del MoVimento 5 Stelle. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: con il pugno di voti racimolati in più degli altri, il PD si assicura il premio di maggioranza alla Camera ma ottiene soltanto 123 seggi al Senato, ben 35 meno della maggioranza richiesta. Governare, anche volendo giocare agli ottimisti, è impresa impossibile.




27 Febbraio 2013 alle 17:03 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

Ricerca personalizzata