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Nino Ricci, le metamorfosi della geometria

di | in: Cultura e Spettacoli

Macerata Musei

NINO RICCI

LE METAMORFOSI DELLA GEOMETRIA

OPERE DAL 1957 AL 2013

a cura di Giuseppe Appella

Macerata, Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi

24 luglio – 22 settembre 2013

MACERATA – Il 24 luglio 2013, alle ore 18, si inaugura, nelle sale di palazzo Buonaccorsi di Macerata, nuova sede dei musei civici, la mostra Nino Ricci. Le metamorfosi della geometria. Opere dal 1957 al 2013, promossa dal Comune di Macerata in occasione del Macerata Opera Festival, l’annuale stagione lirica dello Sferisterio giunta quest’anno alla sua 49° edizione.

L’antologica dedicata a Nino Ricci (Macerata 1930), curata da Giuseppe Appella, si avvale del patrocinio della Regione Marche, della Provincia di Macerata, della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata e ha il sostegno della Camera di Commercio e dell’Azienda Pluriservizi Macerata.

Cento dipinti, due sculture, trenta tra acquarelli, disegni e collages, quattordici libri d’artista raccontano  più di mezzo secolo di lavoro, compiuto sempre a Macerata, senza mai subirne le conseguenze e le fratture, proprie della provincia, eliminate mediante ripetuti contatti con le maggiori capitali europee e con personaggi quali Ivo Pannaggi, Osvaldo Licini, Carlo Belli, Fausto Melotti, Vanni Scheiwiller e un selezionato gruppo di poeti, storici e critici d’arte non solo italiani.

Un lavoro che muove dall’Istituto di Belle Arti di Urbino (tra i suoi insegnanti Carnevali, Castellani, Bruscaglia, Ceci e Battistoni), prosegue all’Accademia di Belle Arti di Roma (allievo di Scialoja e Rivosecchi) e al Centro Sperimentale di Cinematografia, sezione di Costume (con maestri quali Manetti, Marchi, Verdone, Fiorini e Ventimiglia), si concretizza nell’insegnamento presso l’Istituto d’Arte di Macerata, nelle esposizioni presso la Brigata Amici dell’Arte (1951), negli incontri con artisti quali Francesco Trombadori, Carlo Levi, Corrado Cagli, Pericle Fazzini, Arnoldo Ciarrocchi, nell’attenzione alle linee del paesaggio marchigiano riletto nei precisi limiti della  scuola romana prima, della pittura di segno e di gesto poi, l’una e l’altra attenta alla modulazione del colore, a una sorta di palpito della realtà, a un ordine da contrapporre al caos, a una determinazione della forma da costruire senza cedere all’impulso energetico.    

Le pause e le accelerazioni, proprio delle varianti, diventeranno, di decennio in decennio (mentre espone a Firenze, Roma, Graz, Bologna, Milano, Madrid, Dusseldorf, Cracovia, ecc.), una delle costanti di Ricci che, sottraendosi a ogni possibile riferimento (Piero della Francesca, Friedrick, Klee, Fautrier, Morandi), collocherà la forma non al centro ma nell’intero spazio della tela, senza perdere quel tono di sospensione temporale che accompagna l’angoscia della ripetizione, l’insistenza del motivo caro a quanti tessono i giorni sovrapponendo la materia, strato su strato, installando un campo di forze aperto e dinamico, che prepara la futura dialettica di un campo visivo ora dischiuso al geometrismo razionale, ora cadenzato dalla forma sillabata in sequenze di posizioni, per depositarsi, acquietato, nell’attrazione di un solido proteso a ricomporsi come un cristallo dalle infinite sfaccettature.

Un modo, originale, di purificarsi attraverso la geometria, ampliandone il campo d’azione ma senza assoggettarsi ad essa. Non è, quindi, un esprit de géometrie e neppure la sua degradazione. È lo spirito della tecnica, che non dispiace a Ricci, in quanto gli concede l’opportunità di concretizzare, inseguendo le metamorfosi della geometria, i lunghi intervalli dedicati al disegno e all’incisione, di estenderne, in ogni senso, le capacità espressive.

La dimensione dell’opera è legata a questo movimento che determina il gioco di incidenze e di corrispondenze, la crescita in senso trasversale  o longitudinale, i cambiamenti di direzione e la stessa plasticità, tanto da sollecitare il passaggio dalla superficie della tela allo spazio reale, con immediato vaglio di materiali consoni quali la plastica, l’alluminio, l’acciaio, la cartapesta. La scultura che ne deriva, concretizzazione delle immagini mentali della pittura, conserva, tuttavia, l’ossatura interna, lo schema strutturale originato dalla linea nella progressione dal disegno all’incisione e da questa al dipinto, con susseguenti dilatazioni e ispessimenti ora del mezzo chiaroscurale ora della linea di confine delle zone interne e di quelle esterne.

Affianca la mostra, accompagnata da un catalogo pubblicato da De Luca Editori d’Arte con testi di Giuseppe Appella, Paola Ballesi, Roberto Cresti, Giancarlo Liuti e un ricco apparato biobibliografico, la ricostruzione, attraverso immagini e documenti, del lungo impegno di Ricci, nel corso degli anni, per la crescita culturale di Macerata.

In contemporanea, il MUSMA. Museo della Scultura Contemporanea. Matera, nella Saletta della Grafica, raccoglie i disegni, i bozzetti e le acquetinte di Nino Ricci che accompagnano le dieci poesie di Eugenio De Signoribus per L’acqua domestica, il volume approntato per i “Cento Amici del Libro ” nel 2007.

 

 

 

 

 

Nino Ricci.

Le metamorfosi della geometria.

Opere dal 1957 al 2013.

Macerata, Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi, Via don Minzoni 24

Tel 0733 256361, fax 0733 256354

dal 24 luglio al 22 settembre 2013

orario: da martedì a domenica 10 – 19.

Biglietto: Intero: € 3,00; Ridotto: € 2,00

www.maceratamusei.it–info@maceratamusei.it

 

Nino Ricci

Disegni, bozzetti e acquetinte per L’acqua domestica, con dieci poesie di Eugenio De Signoribus (Cento Amici del Libro, Milano 2007)

Dal 24 luglio al 22 settembre 2013

MUSMA. Museo della Scultura Contemporanea. Matera

Palazzo Pomarici – Via San Giacomo (Sasso Caveoso)

Tel. 366 9357768

Dal 24 luglio al 22 settembre 2013

Orario: dal martedì alla domenica ore 10 -14 / 16 – 20.

Biglietto: visita alla mostra temporanea e alla collezione: € 5.00 (intero) € 3,50 (ridotto)

Le forme e i volumi di Nino Ricci

Una vasta antologica al Palazzo Buonaccorsi di Macerata

Discreta, silenziosa e netta è l’immagine che dalle opere di Nino Ricci ci appare, come condensata in una luce aurorale o crepuscolare; una solidificazione in un’atmosfera lieve e rarefatta, o un’incerta epifania di forme e volumi che dalla superficie della tela o della carta si protendono verso di noi conquistando nello spazio un rilievo di timida tridimensionalità. A differenza delle nature morte del periodo metafisico di Morandi, in cui le forme rispondono a regole compositive di tipo geometrico e una luce cruda ne segna nettamente i contorni, qui, come annotava Fabrizio D’Amico nel prezioso volumetto Nino Ricci. Opere 1996 – 2006 (Edizioni della Cometa), “quando di frequente l’orizzonte si eclissa, e viene a mancare con esso l’ordinata scansione nello spazio degli oggetti … franano allora le cose, scivolando dal loro piano d’appoggio, sorrette come soltanto da un fiato, adesso, nel campo visivo. E quando, assieme, il chiaroscuro che, pur lieve, si intrometteva fra luce e luce nelle figure di Ricci, delineando oggetti e volumetrie, si ritira anch’esso, come risucchiato all’interno del colore, avverti che la stagione del comporre per nitide sintassi visive ha ceduto il passo ad una diversa avventura”.

Una nuova “visione” dell’artista, che attraverso l’intermediazione del quadro, ci viene offerta, con un linguaggio che parla con leggeri strati di colore, mai aggressivi o dirompenti, che crea un seducente “gioco” di ritmi e di fratture, non geometrico o meccanico, ma come librato sulle ali dell’immaginazione; sono le “forme”, dai contorni come sbrecciati, e gli spazi, nel loro dialettico colloquiare, a creare addensamenti, solide esistenze, prive di ogni identità o riconoscibilità naturalistica (se non un lontano rinvio a scaglie di marmo o di ghiaccio), ma come frutti di percezione, di immaginazione o di sogno che si raggrumano in strati di colore, e trovano un flusso ed un palpito vitale (una vita propria) in ritmi e confronti dialettici.

Una vasta antologica promossa dal Comune di Macerata – Assessorato alla Cultura, curata da Giuseppe Appella ed allestita nei sontuosi spazi del settecentesco Palazzo Buonaccorsi, costruito nel cuore di Macerata, ne fa ripercorrere , attraverso più di cento opere (dal 1957 al 2013) tra olii, acarilici, acquerelli, pastelli e lavori grafici inseriti in raffinate pubblicazioni a commento di opere poetiche; in catalogo, testi – oltre che del curatore, anche di Paola Ballesi, Roberto Crespi e Giancarlo Liuti. Nato a Macerata nel 1930, Ricci dopo gli anni della sua formazione, prima ad Urbino, all’Istituto di Belle Arti, dove stringe amicizia con il coetaneo Elvidio Farabollini, nativo di Treia e prematuramente scomparso nel 1971, e poi (tra il 1950 e il 1955) all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove ha come insegnanti, tra gli altri, Sante Monachesi, Toti Scialoja e Mario Rivosecchi, e al Centro Sperimentale di Cinematografia, è vissuto sempre piuttosto appartato nella sua città, ma, dalla quiete della provincia che è stata comunque il suo primo vero “laboratorio” in un ambiente stimolante per la presenza di tanti artisti affermati a livello nazionale, ha sempre partecipato intellettualmente al dibattito sulla ricerca artistica italiana ed internazionale della seconda metà del Novecento. Profonda è l’empatia che Ricci sente nei confronti di Paul Klee, che influenza la sua produzione a partire dalla fine degli anni cinquanta; egli fa sua l’ansia di cercare sensazioni generate dalla pittura attraverso il segno grafico. La sua urgenza precipua è quella di una resa cristallina e nitida della forma non attraverso una scansione geometrica delle superfici, ma mediante una articolazione ritmica dell’opera. Quello che affascina Ricci è la singolare sottigliezza tattile di Fautrier, con la propria produzione ripercorre itinerari già cari a Seurat, Boccioni, Magnelli, Prampolini, Reggiani, all’amato Licini, per approdare ad una serie di metamorfosi costruite, con rigorosa concezione logica, al di fuori di qualsiasi impegno teorico, su sottili simmetrie di rapporti lineari durevoli. La sua ricerca fondamentale è rivolta , anche negli anni più recenti, alla costruzione architettonica che assorbe con i volumi, tutte le relazioni spaziali fissate dalla luce e dalle ombre; con il conseguente trapasso dall’immagine mentale alla realizzazione grafica mediante l’emozione del segno.

A proposito della produzione degli ultimi anni, che si collocano nella fase più matura della creatività dell’artista maceratese, scriveva ancora suggestivamente D’Amico: “Governa la sua pittura un sentimento che è facile scambiare, alla prima, per malinconia: tanto il suo fare insiste, senza remore o nascondimenti, a ridire valori lontani, desueti … sganciate ora più che mai dal mondo e dalle sue apparenze, le figure narrano soltanto storie di vita non vissute, di forme appena sognate: trepidi schermi inframessi alla luce”. Queste forme condividono, nella loro “esistenza” di colori, in uno spazio assorto e senza tempo, in un silenzio metafisico, un destino comune e sembrano stringersi tra di loro in una specie di complice “solidarietà”.

 




12 Luglio 2013 alle 0:41 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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