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The Black Heart Procession “Six”

di | in: Primo Piano, Recensioni


Etichetta: Temporary Residence Limited
Brani: When You Finish Me / Wasteland / Witching Stone / Rats / Haeven And Hell / Drugs / All My Steps / Forget My Heart / Liars Ink / Suicide / Back To The Underground / Last Chance / Iri Sulu


Diciamo subito che col capitolo numero sei della loro discografia i Black Heart Procession di Pall Jenkins e Tobias Nathaniel tornano a livelli compositivi alti. Il problema di chi, come loro, ha consegnato alla storia del rock (indipendente) un capolavoro come “2”, è che con quel capolavoro sarà sempre costretto a fare i conti e ogni cosa nuova subirà impietosamente il confronto. Stavolta però anche i nostalgici per partito preso avranno di che sorridere, visto che le tredici nuove canzoni viaggiano su binari che, pur non toccando i vertici qualitativi di “2”, viaggiano ad essi paralleli, e, pur non sfiorandone le suggestioni, trovano una via alla forma canzone personale e capace di imprimersi a fuoco nell’animo dell’ascoltatore. Il piglio gotico che da sempre abita le latitudini del cuore nero e il marchio di desolazione che da sempre porta addosso, stavolta si arricchiscono di continui rimandi alla presenza demoniaca: i giochi con il numero 6 nella copertina, il numero delle canzoni dell’album, 13, la presenza del diavolo che serpeggia per tutte le tracce e in un paio, Wasteland e Rats, compare in modo inequivocabile («I can’t sleep tonight/the devil’s in the moon»). E’ in uno scenario da fine del mondo che si muovono i personaggi del disco, anime in pena, corpi che vagano solitari nella notte, cercando tracce, coprendo tracce, cercando amori e fuggendoli, peccando, bruciando, ammalandosi, macchiandosi di delitti. E, dopo due dischi in cui il cuore nero è parso zoppicante (“Amore del Tropico” del 2002 e “The Spell” del 2006), finalmente tutto torna a girare come deve, anche se al contrario, anche con l’occhio strizzato a Lucifero.
L’ipnotica ed anaforica introduzione di When You Finish Me, l’ambientazione apocalittica di Wasteland, l’andamento marziale del singolo Witching Stone, l’enfasi di Liars Ink, sono i segnali di un’innegabile ripresa. I Black Heart Procession di oggi si lasciano andare a residui di imperfezione – Suicide è il momento meno a fuoco, con quegli accenni di elettronica che Jenkins e Nathaniel non hanno nelle proprie corde – ma sono anche capaci di stupire in positivo con due meritevoli cavalcate western, Forget My Heart e Back To The Underground, che più che a Peckimpah guardano al Jarmusch di “Dead Man”, e con una ballata straziante, Drugs, che non avrebbe sfigurato in “Berlin” di Lou ReedI took your poison to see how you suffer/I took your drugs to see you high/I took your hand to walk with you/I lost my mind to lose my love»).




25 Ottobre 2009 alle 12:05 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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