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Popsophia: il futuro e l’ombra dell’origine

di | in: Cultura e Spettacoli, Primo Piano

Florinda Cambria – Carlo Sini

Carlo Sini e Florinda Cambria tra cyborg e homo sapiens


CIVITANOVA MARCHE – Nel 1920, nell’immediato primo dopoguerra, Paul Wegener girò Der Golem, un film muto che ripercorreva il mito ebraico del gigante di argilla evocato ed animato da un rabbino, col fine ultimo di servirlo. Una sorta di simbiosi, un’associazione tra due o più individui che, stando insieme, si portano reciprocamente dei vantaggi. Nel nostro caso, per il rabbino quello di avere un servo e per il gigante, quello di avere la vita. Il richiamo all’ibrido, all’integrazione di umano e non umano o sarebbe meglio dire di naturale e non naturale, è sempre stato centrale nella storia dell’uomo e non solo a livello meramente immaginativo. Carlo Sini e Florinda Cambria ieri al Chiostro hanno indagato il tema del cyborg ne “Il futuro e l’ombra dell’origine” perché infondo proiettandosi nel futuro, all’origine ci si è ricongiunti.

La discussione ha mosso i primi passi proprio dal concetto di simbiosi in quanto, come è desumibile, il cyborg nasce dall’unione omeostatica tra elementi artificiali e organismi biologici.

È nel concetto di simbionte che Giuseppe Longo, citato da Sini, riconosce l’homo technologicus. Un ibrido tra uomo e tecnologia, in cui il confine tra le due cose è labile. Il corpo animale e i congegni che utilizza, tv, cellulare, computer, protesi, solo per annoverarne alcuni, sono apparati che hanno radicalmente trasformato il nostro modo di percepire ed interagire col mondo. Se da un lato hanno notevolmente migliorato la vita dell’uomo, per un altro hanno peggiorato le capacità comunicative a fronte di una informazione che sempre più veloce, frammentaria e irruenta ha pervaso il nostro modo di conoscere e comunicare il mondo. Non solo, ma la preoccupazione di Longo risiede nella incapacità nascente, specie giovanile, di trattare con l’emotività. Il costo da pagare ha insomma quattro E come iniziale: etica, estetica, emotività ed espressività. Le scelte che dunque un simbionte compie sono inscindibili dalla macchina cui è legato. Dunque chi è il vero artefice della decisione? La logica computazionale della macchina sta diventando la nostra logica? Questa posizione allarmista viene contestata o almeno ridimensionata nella sua valenza ansiogena dal pensiero dei due filosofi.

Il nostro corpo infondo, possiamo dirlo davvero naturale? È da questa domanda che si innalza un nuovo torrione da cui poter visionare la questione. I domini antitetici che contrappongono artificiale e naturale sono originati da quale insieme di definizioni?

A ben vedere già la definizione di natura è un artefatto linguistico, è già tecnica. Ma facciamo un passo indietro. Fino ad un certo punto della nostra vita, da bambini, il rapporto con il nostro corpo non è originato da una reale consapevolezza. Noi agiamo un corpo senza renderci conto dello strumento che è in quanto tale. È con esso che muoviamo le cose, ed è attraverso esso che interagiamo con l’intorno. La consapevolezza del corpo è tale solo dopo l’acquisizione di un ulteriore strumento utile a concepirlo: il linguaggio. Nella parola che, una volta pronunciata si diparte da noi per poi ritornare a noi c’è già una forma di strumentazione tecnologica. Un estrinsecare che intrinseca: tutto questo è già realtà virtuale.

Nell’iter che dalla prassi modifica il pensiero risiede l’intreccio, l’articolazione, il ritmo che definiscono il fare artistico. Dall’ombra del passato al fuoco del futuro, un cammino che cambia il corpo e alimenta il rito e il mito. Ma a questa ricerca del nuovo e tecnologico attraverso cosa si giunge? È un percorso per caso o per necessità?

Interessante ed avveduta la risposta della Cambria. Una situazione di emergenza è quella che risponde ad una situazione di limite. Tale emergenza sorge prima del caso o della necessità poiché il caso nasce da un ordine disatteso e la necessità dalla consapevolezza di ciò che sarebbe indispensabile. È invece il limite la situazione prima che induce all’emergenza. In essa non si aggiunge un elemento nuovo ma si ricreano relazioni diversamente assortite. Come a dire che all’introduzione del nuovo per emergenza la risposta non è una sommatoria di ciò che preesisteva e ciò che c’è ma è una rilettura dei rapporti, un riequilibramento.

Dunque nessuna chiusura eretica ma una analisi attenta di nuovi assetti; un guardare al futuro con la consapevolezza che l’homo sapiens è già a suo modo technologicus.




8 Agosto 2011 alle 21:52 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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