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“Anni felici”, il nuovo film di Daniele Luchetti

di | in: in Vetrina, Interviste

Dopo aver trionfato al David di Donatello 2011 per la miglior regia con “La nostra vita”, il regista romano Daniele Luchetti esce nelle sale con un nuovo racconto familiare. “Anni felici” è un tentativo di trasportare in pellicola un vissuto ed un’atmosfera realmente appartenuti al regista. Il tentativo di riproporre emozioni e sensazioni familiari vissute in prima persona e qui affidate alla bravura di Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti, nelle vesti di una giovane coppia degli anni settanta, artista visionario lui, borghese confusa lei.
Abbiamo incontrato il regista e Kim Rossi Stuart all’anteprima per la stampa al Cinema Principe di Firenze.

 

Una prima domanda è d’obbligo: come mai girare parte del film in Toscana?
DL: Abbiamo scelto Follonica come location per alcune nostre scene in quanto molto si avvicina, paesaggisticamente parlando, al territorio francese della Camarga dove abbiamo girato altre scene del film. E poi perché idealmente c’è una certa assonanza tra le caratteristiche del luogo e il racconto incentrato su di una forte presenza femminile. Ecco, è un scorcio di terra e di mare con un forte impatto sulle donne.
Nel film si narrano le vicende di una famiglia e delle sue vicissitudini analizzate con lo sguardo di un bambino oggi divenuto adulto. Quanto c’è di autobiografico in questa storia?

DL: L’ispirazione di fondo è sicuramente autobiografica e, dunque, lo sviluppo narrativo del film può definirsi autentico in quanto autentico  è lo sviluppo dei sentimenti. Allo stesso tempo i fatti sono in parte frutto di fantasia e questa condizione, alquanto singolare da un punto di vista psicologico, mi ha fatto essere allo stesso tempo padre e figlio. Ho filmato un altro me stesso che filmava i miei genitori.
Kim, quanto è stato difficile calarsi in questo personaggio?
KRS: Devo dire la verità: leggendo il copione la prima volta ho avuto come l’impressione di trovarmi di fronte ad un personaggio statico e respingente. Un artista che cerca di essere visionario ma non lo è, un po’ cattivo, un po’ trasgressivo, un po’ anticonformista. Senza una chiara e precisa identità. Mi è parso così necessario scavare in fondo per trovare un punto d’empatia con il personaggio, tale da poterlo rendere nella maniera più fedele possibile. E la chiave di volta è stata nella capacità di far emergere in lui una sorta di fragilità interiore.
Come mai, Luchetti, ha deciso di presentare questo suo film a Toronto?
DL: E’ una scelta che rimanda alla natura del film: trattasi di una vicenda autobiografica, personale, un film di commedia. Portarlo a Venezia o a Cannes avrebbe stonato un pochettino con la maestosità dei festival in questione. Mi sarebbe sembrato un corpo estraneo.  L’obiettivo era quello di presentarlo nella maniera più informale possibile e Toronto mi è sembrata la scelta più funzionale in tal senso.
Vedendo le moltissime scene che richiamano alla Super8 e alla pellicola anni settanta ed in vista del passaggio completo al digitale, “Anni felici” può essere considerato un omaggio alla pellicola?
DL: Ora siamo ancora in una fase di transizione in cui convivono le due tecniche. Certo  è che non è assolutamente vero che il digitale sia una scelta di risparmio. Anzi. Feci faci un preventivo in tal senso ed i costi risultavano essere maggiori e non di poco rispetto alla pellicola. Detto questo credo che probabilmente questo sarà uno degli ultimi film che mi sarà possibile girare in pellicola. Per questo ho voluto usare i 35mm, il 16 ed il super 8. Girando con la stessa macchina da presa super 8 che i miei mi regalarono per una promozione. In questo senso, sì, ho voluto omaggiare il fascino che evoca la pellicola, la sua sensibilità, la profondità di colore ed il profumo che emanava.




13 Ottobre 2013 alle 18:06 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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