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Tuffarsi sorridendo in un mare agitato. Intervista a Paolo Virzì

di | in: in Vetrina, Interviste


Il regista livornese parla del suo ultimo film, “La prima cosa bella”.


di Pierluigi Lucadei


Paolo Virzì ritorna, dodici anni dopo “Ovosodo”, nella sua Livorno e lo fa con un film commovente, il più commovente della sua filmografia. “La prima cosa bella” è un’epopea proletaria che sfiora, senza innamorarsene, la magia del cinema e dello spettacolo, e racconta la storia di una giovane mamma, Anna, frivola e ingenua, e dei suoi due bimbi, Bruno e Valeria. Il regista segue il suo terzetto attraverso gli anni, fino all’ultimo commiato, irriducibilmente festoso, con Anna sul letto di morte e un sorriso che non accenna a sparire.
Abbiamo incontrato il regista che ci ha parlato del suo ritorno a casa e non solo.

Cos’è rimasto della commedia all’italiana in “La prima cosa bella”?
Direi poco. Anche in passato, quando in riferimento ai miei film sentivo parlare di commedia all’italiana, dicevo grazie ma pensavo che quei complimenti, perché li ritengo complimenti, fossero immeritati. “La prima cosa bella” è il romanzo della famiglia Michelucci, di questa bella e giovane mamma e dei suoi due cuccioli che, crescendo, diventano tre persone molto particolari. E’ un romanzo che percorre gli anni Settanta, Ottanta e arriva fino ai giorni nostri.
Com’è stato guardare a Livorno come luogo della memoria?
Il passato rievocato è molto duro quindi non c’è nessuna nostalgia. Si racconta di come fosse terribile la maldicenza, di cosa fossero le menzogne e i fraintendimenti. C’è qualcosa di molto doloroso in quel passato ma anche di magico, perché le tre creature di cui si racconta la storia erano protette da un amore l’una verso l’altra che ha dell’incredibile.
Come mai questo rapporto di amore/odio con Livorno?
Be’, posso tranquillamente dire che c’è stata una fase della mia vita in cui non ce la facevo a stare a Livorno. Quando tornavo era per pochissimo. Magari arrivavo a casa il venerdì per cena e ripartivo subito la domenica. Non sopportavo la sguaiataggine eccessiva della gente di Livorno, quel modo di guardarti male perché non eri lì ma tornavi da fuori lo trovavo insopportabilmente gretto. Ora mi fa tenerezza. Sento di avere oggi verso la città un affetto e una simpatia che prima non sentivo. Il film comunque non è un’apologia di Livorno, non fa sconti a nessuno dei suoi difetti. La stessa Anna non è che una vittima di una città dove se sei carina sei per forza troia. Anche le due interpreti, Micaela (Ramazzotti, Anna da giovane, nda) e Stefania (Sandrelli, Anna da anziana, nda), hanno nella loro vita suscitato invidie simili, ma entrambe hanno saputo fregarsene. Tra loro due c’è un’affinità di spirito e di candore che ha a che fare con l’essere sexy e comiche nello stesso tempo, con quell’innocenza dolce e anche un po’ svampita che le rende complementari. Sono perfette nell’interpretare le due facce di Anna, prima giovane Miss Mamma Estate, poi malata terminale ma ancora ingorda di vita.
Livorno, però, ti ha stimolato ancora una volta, dopo “Ovosodo”, a raccontare.
E’ un posto molto potente, non è affatto melenso, anzi ruvido, e per me, da raccontare, è un posto molto interessante.
Valerio Mastrandrea, Marco Messeri e Claudia PandolfiGli attori tra l’altro hanno fatto un lavoro eccezionale sull’accento.
Sì, sono stati bravissimi. La Pandolfi (Claudia Pandolfi interpreta Valeria, nda), per esempio, ha un orecchio musicale molto sviluppato e aveva già “studiato” il livornese per “Ovosodo”, quindi ha dovuto solo dargli una rinfrescata. Mastrandrea (Valerio Mastrandrea interpreta Bruno, nda) invece lottava molto contro la lingua, sapeva di essere sotto il mirino di un’intera città, e combatteva. Il risultato è stato ottimo. Anche grazie alla troupe che era composta solamente da livornesi e spesso e volentieri dava suggerimenti durante le riprese. Mi piace molto il lavoro di adeguare gli accenti alle ambientazioni dei film. Non mi piace vedere, che ne so, un film ambientato a Genova con i personaggi che parlano bolognese. E mi piace molto che questo lavoro sull’accento sia stato fatto, nel caso del mio film, con uno spirito di grande divertimento.
Non può non essere menzionata la splendida interpretazione del Nesi offerta da Marco Messeri.
Sì, esatto. Il Nesi è un personaggio maschio romantico, forse l’unico personaggio maschio romantico che mi sia capitato di raccontare nei miei film. E’ un personaggio da romanzo russo, da Pasternak. E’ un personaggio che completa Anna perché è il suo opposto, è ordinato, attento, accorto. La bravura di Marco Messeri sta nel fatto che lui nella vita non sia affatto così, lui nella vita è Anna (ride, nda).
Per la parte ambientata negli anni Settanta sono fondamentali i costumi di Gabriella Pescucci. Com’è stato lavorare con lei?
Guarda, io non volevo che i costumi risultassero falsi o artificiosi, così mi sono rivolto a Gabriella Pescucci, che credo sia la più grande costumista vivente. Lei tra l’altro è di Rosignano, quindi livornese, perciò nessuno meglio di lei poteva conoscere l’epoca che volevo raccontare e la nostra provincetta in bilico tra la sua natura proletaria e un’altra più ambiziosa, protesa verso una specie di dolce vita. Gabriella è stata un aiuto e una sicurezza per me. Dovevo lavorare con lei diversi anni fa per il mio primo film, ma poi lei fu chiamata da Martin Scorsese per fare “L’età dell’innocenza” e giustamente accettò (la Pescucci nel 2004 vinse l’Oscar per i costumi de “L’età dell’innocenza”, nda). Ora posso dire che è stato molto bello lavorare con una persona della sua esperienza e della sua sapienza.
Valerio Mastrandrea (La prima cosa bella)Il film si chiude con Bruno che si tuffa in mare. Qual è il tuo rapporto con il mare?
Buono. Il mare mi garba (ride, nda). E’ un mare agitato quello in cui si butta Bruno, per nulla rassicurante. Infatti Valerio non è questo grande nuotatore ed era un po’ impaurito. Ricordo che era un pomeriggio perfetto, bellissimo, con questo mare da macchiaioli… L’idea era quella di tuffarsi sorridendo in un mare agitato.
In che misura il film racconta l’Italia intera, oltre che Livorno?
Questo ritorno a casa può nascondere effettivamente  un desiderio che riguarda non soltanto la mia città ma anche il mio Paese. E’ rischioso quello che dico, perché può sembrare enfatico. Oggi viviamo nell’epoca del disincanto, del disamore per il nostro sentimento di patria. Siamo senza patria. E tra le cose che questo film nasconde c’è la voglia di ritrovare questo comune desiderio di condivisione.
Hai già iniziato a pensare al prossimo film?
Inizio a pensare al nuovo film dopo che mi sono svuotato da quello in corso. In questo momento sono ancora pieno de “La prima cosa bella”. Questo film ha in sé uno spirito che non avevo totalmente previsto e ne sono tuttora travolto. E’ come se stessi ancora lavorando al film, ci sono ancora del tutto dentro con la testa.




17 Gennaio 2010 alle 13:24 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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