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Hamilton Leithauser “Black Hours”

di | in: Primo Piano, Recensioni

“Black Hours” (Ribbon Music, 2014)

 

Etichetta: Ribbon Music / Domino Records

Brani: 5 AM / The Silent Orchestra / Alexandra / 11 O’Clock Friday Night / St Mary’s County / Self Pity / I Retired / I Don’t Need Anyone / Bless Your Heart / The Smallest Splinter

 

Non spenderei troppe parole per spiegare chi erano i Walkmen, mi limiterei a dire che il quintetto newyorkese ha offerto, in dieci anni di carriera, una delle più profonde e trascinanti riletture del rock’n’roll del nuovo millennio. Lo scorso anno la band ha purtroppo annunciato una pausa a tempo indefinito della propria parabola artistica, e, nel giro di pochissimo tempo, hanno risposto all’appello del debutto solista il tastierista Walter Martin, il bassista Peter Bauer e il cantante Hamilton Leithauser. Il lavoro più atteso, va da sé, era proprio quello di Leithauser, la cui voce è stata il più riconoscibile marchio di fabbrica dei Walkmen lungo i sette capitoli della loro discografia.

 

Se pezzi come The Rat, In The New Year, Angela Surf City, Victory e Heartbreaker hanno raccolto consensi un po’ ovunque, parte del merito sicuramente va alla voce ruvida, gracchiante, potente e anche estremamente romantica di Leithauser. Ma la fortuna dei Walkmen si doveva anche a quelle tonalità da cartolina ingiallita, a quelle chitarre sferraglianti come treni su rotaie, a quella sezione ritmica vertiginosa e quelle tecniche di registrazione analogica che rendevano “You & Me” e “Lisbon” album senza tempo.

 

La voce di Leithauser, da sola, rischia di non bastare. A dirlo è proprio questo “Black Hours”, tentativo del cantante di avvicinarsi ad atmosfere più raffinate e lente, di tracciare le coordinate di uno swing’n’roll accomodante, abbassando i decibel e chinando il capo, guardando i propri piedi e compiacendosi fin troppo delle scarpe in pelle spazzolata. Se qua e là lo swing funziona (11 O’Clock Friday Night), o se anche si rimane sedotti da un country sbilenco (I Retired), il più delle volte il risultato è inefficace. Non bastano i chitarroni di I Don’t Need Anyone, che riportano le vecchie atmosfere sanguigne soltanto verso la fine del disco, purtroppo “Black Hours” è un lavoro che avrebbe potuto eleggere Leithauser crooner ufficiale dell’intera scena indie americana ed invece rimane in una zona di nessuno, debole e interlocutorio. Certo, visto il carisma, il curriculum e la simpatia del personaggio, la sufficienza non gliela toglie nessuno. Molto stiracchiata però.




19 Luglio 2014 alle 12:07 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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