“Somewhere” di Sofia Coppola
di Pierluigi LucadeiSofia Coppola riafferma se stessa scegliendo di correre i rischi dell’autocitazione. Così, nel nuovo “Somewhere”, come in “Lost In Translation”, è ancora un albergo il non-luogo dell’anima in cui la regista decide di far annaspare il suo protagonista – il redivivo Stephen Dorff – costringendolo a fare i conti con se stesso e, nello stesso istante, alienandolo da sé. Niente che non sia stato già detto tante altre volte e poco di più rispetto a quanto la stessa Coppola non abbia già dispiegato nelle precedenti opere, mostrato peraltro facendo attenzione a lasciare mozzi gli slanci, con i (rari) momenti di trasporto emotivo che finiscono per essere abortiti grazie ad un montaggio glaciale. Ma questo, sia chiaro, nel cinema ipercinetico di oggi, può essere tutt’altro che un difetto e, quando si accendono le luci in sala, allo spettatore resta addosso una piacevole sensazione di spaesamento, segno della riuscita di un film imperfetto ma rigoroso nella sua volontà di mostrare la nuda verità.