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Diluvio Universale sull’arca degli Stadio, intervista a Gaetano Curreri

di | in: Cultura e Spettacoli, Interviste

A tu per tu con Gaetano Curreri, frontman del gruppo, autore di bellissime canzoni nonché vecchio amico e collaboratore del Blasco nazionale


di Alessandra Del Re


Notizia del 17 settembre 2009 – 10:34 – Era la fine degli Anni Sessanta quando Geatano Curreri incontrava Vasco Rossi. Erano entrambi giovanissimi e sconosciuti, ma pieni di idee e di talento. Ci vorrà qualche anno perché gli addetti ai lavori si accorgano di quanto sono bravi, ma alla fine nel ’78 la loro collaborazione porta alla pubblicazione dei primi due album del Blasco, arrangiati dall’amico. Qualche anno dopo, nel 1982, l’esordio gli Stadio. “Grande figlio di puttana”, “Chiedi chi erano i Beatles”, “Generazione di fenomeni”, “Ho bisogno di voi”, “Stabiliamo un contatto”, “Ballando al buio”, “Un disperato bisogno d’amore”… sono solo alcuni dei loro maggiori successi. La loro ultima fatica, pubblicata quest’anno, è “Diluvio Universale”. Ma non è solo di musica che parliamo col leader dello storico gruppo…

Ti senti un naufrago nel diluvio?
Sì, a volte mi prende questa sensazione. Ma sai, nella nostra storia ci siamo sentiti alle volte così… cercavamo un’isola dove vedere la vita a modo nostro. Mi sento così quando passo un po’ di tempo senza fare concerti e senza suonare, ma appena salgo sul palco mi rendo conto che non sono affatto un naufrago, anzi, è come avere una bella barchetta dove sono salite un po’ di persone insieme a me che “stanno guardando il mondo da un oblò”, come diceva una canzone di un mio collega. Però cerchiamo di risalire sul ponte e non restare in coperta, perché vogliamo far sentire le nostre voci, le nostre emozioni. Perché non bisogna stare zitti in questo momento, non bisogna subire questa incultura che c’è in giro per il Paese, questa tele violenza che ci viene rivolta con una brutalità esagerata che a volte ti viene voglia davvero di andartene a cercare un’isoletta, ma l’isoletta non risolve i problemi. La speranza è quella di poter migliorare le cose non solo per se stessi ma anche per le persone più giovani che in questo mondo ci devono ancora avere a che fare in tutte le sue forme.

Non possiamo considerare la dimensione del palco come un’isola?
Sì. La vera dimensione della nostra isola è il live, che condividiamo con tante persone che in questi anni hanno voluto darci la forza, l’energia, la complicità, la gratificazione per portare avanti il nostro lavoro.

Chi porteresti con te sulla tua arca?
Sono molto affezionato agli animali, motivo per cui porterei sicuramente con me la mia gatta Zippa che è una mia compagna di nottate. Lavoro molto di notte, e lei sta con me quando compongo, quando suono. I gatti sembra che di notte si sveglino, un po’ come i musicisti. Lei ha il mio stesso fuso orario. Tra le persone porterei ci sono Vasco, che è un mio grande amico a cui voglio un bene dell’anima e mia moglie, alla quale sono legato da tanti anni di amore e di convivenza.

Una curiosità: dove si trova la struttura abbandonata che si vede nel video?
Si tratta di una vecchio edificio industriale dismesso vicino a Bologna. Questo posto ha incuriosito le persone che hanno lavorato al video perché su uno dei muri campeggiava la scritta: Vasco sindaco. Sembrava un segno del destino.

Vasco sindaco e Currieri assessore, almeno!
E sì, se Vasco fa il sindaco direi che io posso fare l’assessore.

Ti sei mai cimentato in altre forme d’arte, come la pittura?
Riesco a fare a malapena l’omino come lo disegnano i bambini. Sono molto affascinato dalle cose che non so fare, fatta eccezione per la musica, che so fare ma continua ad affascinarmi sempre. Nutro grande ammirazione per chi scrive e canta in maniera mirabile. Nei confronti delle altre forme d’arte sono addirittura meravigliato. Mi commuove e mi emoziona un bel quadro, mi dà una grande energia.

Un artista che ti piace particolarmente?
Leonardo Cappiello, un cartellonista dei prodotti di consumo contemporaneo di Toulouse Lautrec, che ho scoperto anni fa a Parigi.

Credi in Dio?
Sono credente. Alle volte non sono molto praticante, non sono uno che va in chiesa tutte le domeniche. Però prego molto.

L’ictus ha cambiato la tua spiritualità?
Credo che ognuno di noi abbia un angelo custode, e quello che mi è capitato me ne ha dato la prova. Se non lo credessi sarei un imbecille. C’è chi lo chiama destino, chi lo chiama colpo di culo: io lo chiamo l’angelo custode. Mi ha preso per i capelli e mi ha tirato su proprio quando ero finito in un buco e stavo sprofondando. Che poi questo angelo abbia la sembianza di un medico è un caso. Quello che mi a salvato si chiama Salvo Strano, un nome che è tutto un programma. È stato lui che ad Aci Reale mi ha prestato le cure giuste tempestivamente, individuando dai sintomi quello che mi stava accadendo, senza fare né la TAC né la risonanza. Avevo un’emorragia in atto che stava diventando ictus. In ognuno di noi c’è un angelo in grado di aiutare qualcun altro, il Signore ci ha dotato di questa capacità, ma alle volte siamo pigri, non ne abbiamo voglia, pensiamo di non esserne capaci. E invece siamo capaci eccome. La propria felicità va cercata anche nella felicità degli altri. Altrimenti è un mondo triste e incompleto. Che senso ha essere felici solo noi mentre il mondo attorno a noi è preoccupato, vive i problemi del lavoro, del non arrivare a fine mese.

Anche fare la musica col cuore è un buon modo di aiutare gli altri
I valori dell’arte in generale arricchiscono tutti, l’arte serve a miglioraci, a dare di noi stessi il meglio. So di poter aiutare le persone a trovare un po’ di felicità con la musica, a piangere quando vogliono piangere e a sorridere quando vogliono sorridere.

Oggi è più facile o più difficile emergere nel mondo della musica rispetto a quando hai iniziato tu?
Sicuramente sono cambiate le cose. Quando io e Rossi abbiamo iniziato a far ascoltare le cose che producevamo insieme, andavamo in giro per le case discografiche e le umiliazioni che ho subito allora ancora me le ricordo. Non c’erano certo i mezzi per incidere un nastro o un cd a casa, quindi ti mettevano lì in una stanzetta con una chitarra e un pianoforte a suonare. Poi ti dicevano: “Vi faremo sapere”. Ma questo vi faremo sapere non arrivava mai! Credo che questo succeda ancora, ma sicuramente avviene in maniera più velocemente. E questo non so se sia un bene un male. A molti artisti non gli si dà il tempo di sbocciare, perché c’è molta fretta da parte della discografia e dello showbiz. Vengono messi alla prova con un disco e gli si dà il benservito: ti abbiamo dato un’opportunità, ora avanti un altro.

Mi sembra di capire che tu non sia pro talent
Il meccanismo dei talent show è molto veloce ma anche un po’ perverso. In un attimo diventi famoso e poi chissà. Preferisco il mio percorso, che è stato quello di uno che si è dovuto guadagnare giorno per giorno la sua credibilità e la sua storia. Questo meccanismo così tanto televisivo lo vedo in modo un po’ sospettoso. Toglie la visibilità a tutti quei giovani che fanno e amano la musica ma non andranno mai in un talent show perché contrario alla loro indole, mentre le case discografiche si accontentano di produrre chi esce da un programma tv, perché avendo poche economie di questi tempi riescono a portare a casa i risultati facendo poca fatica.

Quindi pensi che non ne esca nulla di buono?
Non ho detto questo anzi. Non sto giudicando ciò che esce dai talent show, ma il meccanismo. La videocrazia proposta dalla tv è una lama a doppio taglio. Ci fa conoscere dei personaggi di tutto rispetto e valore ma rischia anche di farci prendere degli abbagli. Preferisco la radio, passo i pomeriggi ad ascoltarla. I bei film li vedo al cinema, oppure vado a vedermi una partita di basket, un avvenimento sportivo. In tv guardo vari telegiornali, perché a guardarne solo uno non riesci certo a farti un’idea.

Quali sono le canzoni che ti hanno cambiato la vita?
“Chiedi chi erano i Beatles”, “E dimmi che non vuoi morire” e “Un senso”. La prima è mia e la amo perché è la mia storia, sono io, ed è scritta da un grande poeta come Roberto Roversi. “E dimmi che non vuoi morire” è la realizzazione di un sogno, perché io e Vasco la scrivemmo per Patty Pravo, un’artista che abbiamo sempre stimato ed è un’icona della musica italiana. “Un senso” perché oltre ad essere una delle più belle che ho scritto con Vasco mi ha dato tante soddisfazioni. Mi ha permesso di vincere un Nastro d’Argento, è la colonna sonora del film “Non ti muovere”, mi ha fatto di conoscere una persona fantastica come Sergio Castellitto e sua moglie Margaret Mazzantini. Mi ha arricchito tanto.

Tre dischi che chi sogna di fare musica dovrebbe assolutamente conoscere
Uno qualsiasi dei dischi dei Beatles, ma io consiglio “The White Album”, uno dei capolavori della musica mondiale. “Buoni o cattivi”, uno degli album più belli di Vasco. Un disco di Fabrizio De Andre’. E poi se ne posso aggiungere un quarto ci metto pure un album di progressive rock, che è uno dei generi che più amo: “Nursery Cryme” dei Genesis. (da www.libero.it)




20 Settembre 2009 alle 13:02 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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